Cinzia Silvestri. Un percorso in divenire con la mente aperta a ogni stimolo

William Quiros Solano, Cinzia Silvestri, Nikolas Gaio

Il mondo della ricerca è affascinante poiché rappresenta il motore primo dell’espolorazione della vita e dell’intero cosmo;ogni sua azione ci dona strumenti di comprensione e di benessere. abbanews,eu ha presentato Bi/OND, che è stata premiata con l’ Accenture Innovation Award 2018, come la startup più innovativa nel settore sanitario; creata da William Quiros Solano, un costaricano, Cinzia Silvestri, Nikolas Gaio, italiani. 

A seguire abbiamo incontrato  Cinzia Slivestri, per approfondire gli argomenti sostanziali di un percorso scientifico-imprenditoriale e culturale, da cui emerge non un “cervello in fuga”, ma un “mente, cuore e anima” in movimento verso la conoscenza e le opportunità che la nostra società offre.

Le parole di Cinzia scorrono lievi e intense: delineano con acume un presente-futuro possiible in cui esprimersi, realizzarsi in una dimensione non solo individuale ma anche collettiva, in un confronto diretto e continuo tra diversi professionisti: nel nostro caso, chiamati in causa, ingegneri e biologi, una combinazione “pro vita” imbevuta di creatività, intelletto, passione e impegno.

Lavoro, scelta universitaria, mobilità, cittadinanza europea, tematiche che attraversano la vitalità di Cinzia,  ci restituiscono la visione di una vita che va avanti, che mira alla formazione e alla professionalizzazione in una dimensione europea e nazionale, senza contrapposizioni ma in una logica di potenziamento reciproco.

Come nasce l’idea di BI/OND? Immagino che voi tre ricercatori abbiate svolto il Phd alla Delft University of Technology insieme; avevate già in mente creare questo tipo di prodotto?

BI/OND nasce da tre fondatori: Cinzia Silvestri, Nikolas Gaio e William Quiros Solano. Tutti e tre ci siamo incontrati in un laboratorio high-tech all’interno dell’università di Delft che si chiama Else Koi Laboratory. Lavorando gomito a gomito tutti i giorni e condividendo successi e frustrazioni, siamo diventati amici.

Il mio dottorato era incentrato su un argomento totalmente diverso da quello della start-up. Mi occupavo di trovare soluzioni innovative al surriscaldamento degli smarthphone e delle future applicazioni dell’elettronica, facendo uso di nanomateriali.
Nikolas e William, invece, come argomento di dottorato erano incentrati a sviluppare elettrodi e sensori per misurare l’attività delle cellule. Quindi loro erano già consci dell’argomento e della tecnologia degli organi su chip, che stava prendendo sempre più piene non solo in ambito accademico.

Un giorno William, testando delle nuove ricette in laboratorio per fabbricare uno dei suoi sensori, ha fatto un errore. Quell’errore, osservato al microscopio, ha dato via a tutta la tecnologia su cui si basa la start-up BI/OND. Dopo la scoperta, invece di pubblicare un bell’articolo, abbiamo deciso di patentare l’idea,  di lanciarci nel vuoto e aprire la nostra start-up. Ovviamente dalla scoperta all’apertura ufficiale della start-up (avvenuta nel Novembre 2017) è passato un anno e mezzo di continua R&D.

Ho letto che siete specializzati in ingegneria elettronica, per l’ideazione di questo prodotto vi siete formati in parte anche in scienze biomediche?

William e io siamo ingegneri elettronici per formazione, mentre Nikolas ha effettuato la laurea triennale in ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano e la specialistica in biomedica all’università tecnologica di Delft. Per l’appunto, essendo Nikolas il più ferrato nella parte biologica del settore, è  la nostra interfaccia biologico-ingegneristica tra noi e i nostri clienti, i biologi.

Chip BI/OND

Come funziona il dispositivo organ -on-a- chip?

Gli organi su chips sono un movimento emergente del campo della biotecnologia. Un organo su chip è la combinazione di un chip –  con il compito di fornire un ambiente dinamico e stimolante simile a quello di un organo – e delle cellule, che una volta inserite nel chip si sentiranno come nel nostro corpo umano anche se in realtà sono in un laboratorio.

La combinazione di cellule umane e questi chips sono usati per testare nuovi farmaci e rappresentano una finestra per osservare ed acquisire una conoscenza profonda dei fenomeni che avvengono nel nostro corpo.

Fino ad ora tutte le start-up presenti nel panorama sono state fondate da biologi, creando chip funzionali ma difficilmente fabbricabili. Come ingegneri microelettronici, noi del team di BI/OND, vogliamo fornire soluzioni hardware avanzate ai biologi.

Il nostro organo su chip è un vero e proprio microchip di 1×1 cm, fabbricato utilizzando il sistema di produzione e gli stessi materiali con cui sono fatti  i chip dei computer e degli smartphone.  Inoltre, impiengando il silicio, materiale principe dell’elettronica, abbiamo la possibilità di inserire sensori ed elettrodi che possono monitorare le cellule in tempo reale. Il nostro chip, quindi, dona la possibilità ai biologici di acquisire non solo immagini ma anche segnali direttamente dalle cellule.

BI/OND fornisce ai biologi che lavorano in case farmaceutiche, ospedali, istituti di ricerca, un microchip di 1×1 cm. Questo microchip è in grado di emulare le funzioni di un organo umano: l’interazione tra diversi tipi di cellule, il flusso sanguigno, perfino il battito del cuore o il respiro dei polmoni. Si tratta di un organo umano a portata di mano e che si può tenere nel palmo della.

Che significato ha rivestito per lei il premio di Inspiring Fifty?

L’inserimento nella lista Inspiring Fifty italia, le 50 donne più influenti nel mondo della tecnologia nel nostro Paese, è un grande onore, nonché una grande responsabilità. Significa essere un modello di riferimento per le nuove generazioni e, in particolare, per le ragazze.

Spesso le materie che ricadono nel settore STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematic)  come l’ingegneria spaventano e possono sembrare scevre di aspetti umanistici. Invece trovo che l’ingegneria sia una delle facoltà più creative e le persone che vi si iscrivono, spesso, sono  eclettiche. L’ingegneria dona strumenti concreti per rendere reali delle idee visionarie, come quelle degli organi su chip.

Il mio percorso è in continuo divenire perché adoro mantenere la mente aperta a qualunque stimolo. Valutare i rischi è importante, ma la paura non deve frenare. Bisogna mettersi sempre in gioco, questo ho cercato di comunicare agli studenti che ho supervisionato negli anni.

Le opportunità migliori che offre la Tecnical University of Delft sono sia economiche che di carriera?

Nonostante non mi potessi assolutamente lamentare del salario percepito dalla Delft University of Technology, l’opportunità più grande che mi ha dato la TU Delft è la più completa fiducia ed autonomia. Tra i vari requisiti per acquisire il titolo di dottore (PhD) nell’università di Delft, c’è quello di dimostrare leadership e autonomia nel gestire il proprio argomento di dottorato.

Dal primo giorno mi è stato assegnato un argomento di dottorato ed è stato mio compito e responsabilità farlo mio e decidere le linee guida della ricerca. Ad ogni bivio in cui mi sono trovata, il mio supervisore, Prof. Lina Sarro, mi ha sempre dato la massima fiducia e supporto.

Ogni buon risultato ha portato ad una pubblicazione o a una conferenza internazionale dove io sono il primo autore,  il responsabile,  colei che ha il compito di presentarlo al mondo. Questo non è scontato che avvenga nelle università italiane.

Tale responsabilità all’inizio spaventa, ma quell’ansia e adrenalina continua di sfidare se stessi e uscire dalla propria “comfort zone” crea dipendenza. Ho deciso di aprire BI/Ond perché consapevole del fatto che non avrei potuto lavorare per nessuno se non per me stessa e ad un progetto in cui credessi profondamente. Questa è la più grande opportunità che mi ha dato la TU Delft.

Che cosa si dovrebbe sviluppare nelle università italiane, oltre all’effettivo maggiore finanziamento della ricerca, dal punto di vista formativo-professionale per offrire maggiori opportunità ai ricercatori?

La differenza più grande tra l’Italia e l’Olanda è che in Olanda il dottorato è un lavoro a tutto tondo, con tredicesima e pensione. Le persone non lo vedono come un procrastinare l’ingresso nel mondo del lavoro dopo l’università.
Questo deriva dalla visione dell’università e dei professori incentrata nell’investire sui dottornadi, dando opportunità di accedere a laboratori high-tech molto costosi e di viaggiare anche ogni 6 mesi per presentare il proprio lavoro in conferenze mirate.

Ad esempio, durante il mio dottorato (durato 4 anni) ho avuto la possibilità di presentare il mio lavoro nelle conferenze internazionali di settore più importanti e di andare 2 volte in Cina, altrettanti in America e di fare 3 viaggi in Europa.

Per poter garantire al dottorando un buono stipendio per 4 anni e queste esperienze formative, ogni professore deve essere in grado di attirare 250mila euro per singolo dottorando. Questi soldi provengono da progetti valutati e finanziati a livello nazionale ed europeo, con un’altissima concorrenza e che richiedono spesso il coinvolgimento anche di soldi provenienti da aziende.

Se il professore non è in grado di attrarre soldi con le proprie idee non avrà dottorandi e, quindi, la sua ricerca si arresterà. La carriera università non è mai data per scontata qui in Olanda. Ognuno ha delle responsabilità nella catena ed ognuno è chiamato a fare del proprio meglio.

La sua provenienza dal liceo linguistico in che modo ha influito (se ha influito) sul suo percorso ingegneristico?

Fin dalla mia nascita, non sono mai stata capace di rispondere alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, ma non per carenza di interessi, bensì per eccesso. Alle superiori scelse di iscrivermi al liceo linguistico con la convinzione che qualunque cosa avessi deciso di fare nella vita, la conoscenza delle lingue mi avrebbe offerto maggiori opportunità.
Di certo, la mia provenienza dal linguistico non ha aiutato il mio percorso ingegneristico anzi… ma con la perseveranza e il sacrificio si può ottenere qualunque cosa, anche una laurea in ingegneria elettronica!

Che cosa l’ha spinta a scegliere ingegneria elettronica? Aveva già in mente il percorso che avrebbe fatto al momento dell’iscrizione?

Mi è sempre piaciuto studiare e a ridosso degli esami di maturità ero propensa ad iscrivermi alla facoltà di economia. Ma non mi è mai piaciuto fare quello che la maggioranza delle persone faceva. Ed attorno a me molti coetanei avevano optato per economia.

Allora decisi che valeva la pena tentare un percorso diverso, sfidare i miei limiti. E decisi di iscrivermi ad ingegneria. Scelsi elettronica perché tra le ingegnerie “tradizionali” era quella che mi attirava di più. Guardando a ritroso, non avevo idea di cosa fosse realmente.

Con il tempo ho imparato ad apprezzare la versatilità che ingegneria elettronica può dare, anche se la parte che più mi piace e su cui mi sono specializzata, la micro e nano elettronica, sono un misto tra elettronica e fisica.

Ha dichiarato che non vede “l’ambiente giusto per portare B/Ond, mi potrebbe spiegare perché

Qui nei Paesi Bassi investono molto sulle start-up, aprendo bandi che spesso garantiscono il poter continuare a sviluppare la propria innovazione. Inoltre la burocrazia è molto snella ed immediata. Con la Brexit sempre più aziende si stanno spostando nei Paesi Bassi, rendendo il panorama ancora più interessante e incline ad incrementare il proprio network e le possibilità di partnership.

Inoltre, è più facile attrarre talenti dall’estero grazie alla predominanza della lingua inglese e un regime di tassazione per gli immigrati altamente qualificati molto conveniente.

Che cosa consiglierebbe ai giovani diplomandi interessati al suo campo scientifico? (Molte donne, tra l’altro)

Ai giovani diplomati consiglio di effettuare una buona laurea triennale in Italia. Creare delle buone basi è fondamentale per poter affrontare qualunque laurea specialistica, e le università italiane sono ottime in questo. Mentre consiglio di conseguire la laurea specialistica all’estero, dove sono molto orientati al mondo del lavoro, con tirocini obbligatori e molte opportunità di inserimento in azienda grazie a lavori part-time o tesi di laurea. Inoltre, hanno una attenzione particolare all’imprenditoria. Ci sono molti corsi su come dare valore dalle proprie idee e creare delle start-up.

In paesi come i Paesi Bassi le tasse universitarie in Ingegneria (mia unica esperienza) non sono più alte di quelle delle università d’ingegneria italiane. Il costo della vita è paragonabile a quello delle grandi città italiane.

Come definirebbe il ruolo dell’Unione europea nel destino socio-formativo dei giovani europei? E non solo i giovani...

I giovani europei (sentirsi solo italiani è riduttivo) sono una generazione che vive in un contesto sociale, tecnologico ed economico in rapida evoluzione. Siamo una generazione a cui sono stati dati degli strumenti (come internet, buon livello d’istruzione, conoscenza base dell’inglese) e una mobilità della quale le generazioni precedenti non hanno potuto beneficiare.

Vivere all’estero non è facile, il calore dei propri affetti, i profumi della propria terra, la propria lingua e cultura mancheranno sempre. Si deve imparare a convivere con i sensi di colpa per non poter essere sempre presente.
Ma vivere in un paese straniero anche solo per 6 mesi, è una di quelle esperienze tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita, anche solo per scoprire che non fa per noi.

Trasferirsi in un altro Paese è spaventoso ed emozionante allo stesso tempo, ma al termine del viaggio si sarà una persona più completa di prima, con delle prospettive molto più ampie, da cittadino del mondo.

Foto in copertina: Cinzia Silvestri

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