Roma 1870. Fastosa e miserrima città
Stupenda e misera città, scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1957 nel suo poemetto Il pianto della scavatrice, riferendosi a Roma sua città di adozione. Fastosa e miserrima, scrive Nadia Ciani descrivendo la Roma nel settembre 1870 quando fu annessa al Regno d’Italia, per diventarne capitale nel 1871.
Dopo 11 secoli governata dallo stato Pontificio, Roma si mostrava “estranea a qualsiasi novità ed esclusa da ogni fermento di progresso […]. Immersa nei ricordi e nelle vestigia del suo straordinario passato […]. Un coagulo di forti contraddizioni sociali e culturali”. Lontana dalle grandi capitali europee, scrive Ciani anche “nelle dimensioni”.
Roma in quel tempo contava tra i 220-240 mila abitanti (secondo le fonti), seconda città d’Italia dopo Napoli che vantava circa 200 mila persone in più. Niente a che vedere con Londra con 3.500.000 abitanti o con Parigi e i suoi 1.800.000 residenti: densità dovute “alla rivoluzione industriale di cui Inghilterra e Francia erano protagoniste”.
La vita economica della città
“A Roma, invece, a fronte dello splendore della corte papale e della magnificenza dei palazzi, delle ville e delle numerosissime chiese, scorre la misera vita quotidiana del popolo che vive di piccolo commercio, di piccoli lavori artigianali, di espedienti, di mance e prebende. La vita economica della città e, infatti, contrassegnata da una prevalente attività di servizi correlata al carattere di Roma quale centro religioso e amministrativo: una città dove si consuma ma non si produce.
Il settore tessile
Le attività produttive si concentrano quasi esclusivamente nei settori tessile, tipografico ed edilizio, mentre estremamente limitate e a carattere artigianale sono le industrie meccaniche e metallurgiche. La prevalente industria tessile viene svolta con metodi arretrati, attraverso il lavoro a domicilio e, comunque, in strutture a gestione familiare: ovvero presso gli istituti caritatevoli. Nell’ospizio di San Michele a Ripa Grande si lavorano la lana e i tessuti destinati agli arredi sacri. A Castel San Angelo si fabbricano i tessuti per i militari con l’impiego dei forzati, mentre la lavorazione della seta si svolge nel conservatorio delle Pericolanti, con l’impiego di ragazze e zitelle, e quella del lino e della canapa nei conservatori dei Derelitti e delle Trinitarie.
Il carattere frammentario delle attività produttive rende difficile, se non impossibile, ogni forma di sindacalizzazione e le rivendicazioni dei lavoratori sfociano spesso in proteste spontanee e casuali, o in veri e propri moti popolari.
Il settore agricolo e commerciale
Forte arretratezza contrassegna anche l’agricoltura, gestita con metodi assolutamente primitivi e fondata sul latifondo. L’Agro romano, che fornisce i prodotti agricoli alla città, è diviso in vaste tenute di proprietà del clero e dell’aristocrazia romana ed è prevalentemente utilizzato per il pascolo degli ovini.
Il sistema protezionista dei dazi consente solo un limitato commercio, con prevalenza di quello ambulante e con botteghe in cui si vende un po’ di tutto: particolare aspetto ha il Ghetto, in cui si concentrano le botteghe di tessuti all’ingrosso e al dettaglio dei commercianti ebrei.
La nobiltà romana è legata al possesso della terra, ancora vincolata a fidecommessi e maggiorascati e, unitamente al clero, è proprietaria della maggior parte degli immobili in città e delle tenute dell’Agro romano. Questo patrimonio immobiliare peraltro scarsamente produttivo, è costituito da palazzi magnifici, da chiese, conventi e da ville suburbane che, unitamente alle antiche rovine, conferiscono alla Roma pontificia quel carattere di monumentale grandezza e fastosità che l’ha resa celebre.
La società. Clero, nobiltà e ‘generone’
Accanto ai nobili e al clero, emergono i cosiddetti ‘mercanti di campagna’, il ‘generone’, cioè gli affittuari delle tenute dell’Agro romano che, con la loro affermazione economica, con il loro modo di vivere, con i loro atteggiamenti e comportamenti, delineano la formazione nella realtà romana di una classe borghese, a volte anche di tendenze liberali e anticlericali.
La presenza dei ceti medi nella Roma pontificia è assolutamente limitata e rappresentata prevalentemente dagli impiegati delle istituzioni religiose, mentre molto pochi sono i professionisti, come medici e avvocati. La maggioranza della popolazione è costituita da servitori, piccoli artigiani e commercianti, mentre si è calcolato che nel 1871 oltre il 30% degli abitanti di Roma vive di sussidi ed elemosine, elargiti da numerosi istituti di beneficenza, opere pie e conservatori.
Urbanistica. Come ai tempi del Grand Tour del Settecento
A fronte dello sviluppo straordinario di città come Londra e Parigi, ma anche Bruxelles e Amburgo, Roma si presenta ancora, al momento della sua effettiva proclamazione a capitale d’Italia, così come la vedevano i viaggiatori del Grand Tour del Settecento: una fascinosa bellezza addormentata nel sogno del suo passato.
La città edificata, divisa dalla serpentina del Tevere, era di estensione ridotta, mente i palazzi, le chiese e l’area del Foro e del Palatino – centro della città antica – erano circondati, dentro e fuori le Mura Aureliane, da numerose ville con giardini e vigne, che le conferivano un aspetto unico e meraviglioso di vera città-giardino […].
Capitale d’Italia. Dare un volto moderno alla città
La topografia della città si perdeva nella vastità delle zone agresti e dei giardini segreti o esotici, spesso popolati da statue antiche – veri monumenti all’aperto – in cui erano immersi ville e casini: una città incantata, fuori del tempo, cui fino al quel momento era stato precluso uno sviluppo urbanistico nel senso della modernità.
Proprio l’urgenza di dare un volto moderno alla nuova capitale condusse alla scelta di aprire spazi per dare vita al tracciato di grandi arterie, per edificare palazzi ad adibire allo svolgimento delle nuove funzioni pubbliche e per rispondere alle esigenze poste dall’espansione demografica che si verificherà nei decenni successivi, con l’inesorabile conseguenza della distruzione di questo impareggiabile tessuto di ville, giardini, vigne ed orti”.
Dopo l’imperiale e la papalina stava per nascere la Terza Roma.
Estratto dal libro ‘Da Mazzini al Campidoglio’ di Nadia Ciani (ed. Diesse, 2007): capitoli ‘La città, le ville, la campagna’, pagg. 20,21,22,23.
Immagine: Quadro che ritrae un momento della quotidianità romana di fine Ottocento nel Belvedere del Gianicolo