Non abbiate paura. Paese che vai, timore che trovi
Gli Americani hanno paura dei Russi. Raccontandoci, indirettamente, qualcosa anche sulle nostre, di paure. In un recente sondaggio, pubblicato dalla CNN e condotto dalla società ORC, il dato è incontrovertibile: il 75% degli americani (3 su 4!) considera la Russia come una minaccia, arrivando a toccare livelli da Guerra Fredda.
Era infatti dal 1985, all’alba della perestrojka, che la preoccupazione sollecitata e stuzzicata negli Stati Uniti da quelli che allora erano ancora “i sovietici” che non si toccava un livello così alto. Singolare la distribuzione disomogenea da un punto di vista “politico” delle risposte: la somma tra le risposte “molto grave” e quelle “moderatamente grave” alla domanda “che tipo di minaccia sente provenire dalla Russia” fa 85% tra i democratici, 77% tra i repubblicani e 68% tra gli “indipendenti”, segno che le recentissime polemiche sulle possibili interferenze provenute direttamente dal Cremlino per rendere plausibile l’inaspettata elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti hanno lasciato il segno.
Questo sondaggio, oltre che a mettere in evidenza una trasformazione evidente nella pancia della geopolitica mondiale, ci dà la possibilità di farci un’altra domanda: ma, da dove arrivano le nostre paure? Come mai 3 americani su 4 sentono sul proprio capo la “minaccia” proveniente dalla Russia ovvero da un Paese che oggi, rispetto al 1985, ha perso diverse unità di grandezza di potenziale bellico ed economico, a quasi 28 anni dalla caduta del Muro di Berlino? E perché questo dato è in costante aumento da qualche mese, ma ha subito una così evidente impennata, soprattutto nell’elettorato democratico, dopo le recenti rivelazioni dell’FBI sulle probabili “ingerenze” russe sulle presidenziali?
Per pensarci e rifletterci possiamo allargare l’orizzonte, sfruttando – per farlo – un sondaggio non recentissimo (è datato ottobre 2015) ma di respiro mondiale: la ricerca, effettuata dalla Pew Research Center, durante la quale è stato chiesto a cittadini provenienti da 40 Paesi diversi di indicare le proprie principali preoccupazioni scegliendo tra sette possibilità: il cambiamento climatico, l’instabilità economica, l’ISIS, il programma nucleare iraniano, gli attacchi informatici, le tensioni con la Russia e le dispute territoriali con la Cina.
La ricerca ha avuto un rilevantissimo campione di oltre 45mila persone, intervistate sia per telefono che faccia a faccia e si è basata, nell’elaborazione delle conclusioni, solo sulle risposte per le quali gli intervistati si sono detti “molto preoccupati“.
Ebbene: la percezione dei pericoli cambia moltissimo – come era facile immaginarsi – a seconda della provenienza. Per esempio: nei paesi solitamente definiti “occidentali” – Stati Uniti, Europa e Australia – si ha molta paura dello Stato Islamico, o ISIS, nonostante il – tutto sommato – basso numero di attacchi compiuti finora dal gruppo fuori dal Medio Oriente e Nord Africa.
In America Latina e nei paesi asiatici in via di sviluppo, Cina e India fra tutti, c’è molta preoccupazione, invece, riguardo al cambiamento climatico. In Russia si ha paura soprattutto dell’instabilità economica. Il Guardian ha realizzato una bella infografica che permette di vedere facilmente i risultati della ricerca di tutti i 40 paesi considerati.
In 19 dei 40 paesi coinvolti nella ricerca il cambiamento climatico è stato individuato come una minaccia dal maggior numero di persone: in Brasile e in Perù si sono dette preoccupate dal cambiamento climatico il 75 per cento delle persone sentite.
Il Paese del Mondo che più considera il cambiamento climatico come un problema è il Burkina Faso (79 per cento). In altri paesi la popolazione è molto preoccupata da questioni che si possono definire più “locali”.
Nell’Europa orientale, per esempio, la tensione con la Russia (ancora loro!) è al primo posto tra le minacce percepite, molto distaccata per esempio dalla paura dell’ISIS o dal cambiamento climatico: in Polonia la considera un problema il 44 per cento della persone sentite, in Ucraina il 62 per cento. In Vietnam e in Giappone c’è molta preoccupazione per le tensioni territoriali con la Cina, anche se piuttosto sorprendentemente i giapponesi hanno più paura dell’ISIS. E questo è un dato molto singolare. Perché, nonostante sul territorio nazionale del Sol Levante non ci siano stati attacchi, e le minacce al Paese siano da considerarsi piuttosto scarse, i giapponesi hanno probabilmente reagito con molta partecipazione all’agghiacciante vicenda dei due loro connazionali decapitati ed uccisi nel gennaio del 2015.
Lo stesso discorso – con le debite, dovute proporzioni – potremmo farlo anche per l’Italia: ben il 69 per cento degli italiani consultati si è detto infatti “molto preoccupato” dalla minaccia dell’ISIS, ed è un valore parecchio alto se si considera che in Italia – a differenza di altri paesi europei – l’ISIS non ha mai compiuto attentati e anche il problema dei cosiddetti “foreign fighters”, cioè gli stranieri che vanno a combattere la guerra in Siria, non è considerato particolarmente rilevante dal governo.
Ma il dato è ancora più fuori misura se si considera che l’instabilità economica è considerata una seria preoccupazione “solo” per il 48 per cento delle persone sentite, anche se fa immensamente più parte delle vite quotidiane di ciascuno di noi rispetto ai pericoli del terrorismo internazionale.
Come si spiega?
Tutta colpa dell’autoinganno. Come spiega Umberto Santucci nel suo seguitissimo blog” L’autoinganno è il modo in cui ognuno percepisce le cose dal suo punto di vista, filtrato dai media vecchi e nuovi”. In pratica parrebbe tutta colpa del “discorso pubblico” che si fa sui rischi e i pericoli quotidiani.
La nostra percezione del mondo dipende dai “filtri”, dal lavoro di selezione, gerarchizzazione e presentazione delle notizie che viene comunemente fatto dal campo giornalistico – e non solo – un lavoro che il giornalismo e la comunicazione pubblica fanno in un rapporto concatenato di causa/effetto rispetto a quello che è il “comune sentire” della cittadinanza. In un rincorrersi acerbo, costante e pervicace che porta ad una rappresentazione della realtà spesso sconvolgente rispetto alla realtà stessa.
“Un grafico a bolle che gira per i social network – scrive ancora Santucci – mostra la differenza fra i dati statistici relativi a temi minacciosi, e la valutazione del peso che ad essi dà l’opinione comune. Per esempio, nel caso dell’automobile, in una scala da 1 a 10, quanto abbiamo paura di andare in auto? Ci fa più paura l’auto o l’aereo? L’auto o un attentato terroristico? Le risposte ci daranno la dimensione della bolla superiore. Quanti incidenti sono accaduti in un anno? Con quanti morti e quanti feriti? I dati determinano le dimensioni della bolla inferiore”.
Il risultato è veramente allucinante (e affascinante).
In conclusione: quando la nostra pancia parla ovvero: quando sentiamo di avere “paura” di qualcosa che conosciamo soltanto attraverso il filtro quotidiano e massivo della comunicazione sarebbe bene cercare sempre di utilizzare un altro filtro, quello molto umano ma altrettanto complicato della ragionevolezza. Medesimo filtro che dovremmo usare, vista dall’altro punto di vista, noi che abbiamo il privilegio di scrivere o dire per essere letti o ascoltati, quando selezioniamo, gerarchizziamo e presentiamo le notizie. Anche se, usandolo, rischiamo pesantemente di andare incontro al più terribile dei mali: l’indifferenza del nostro lettorato…