Lettera aperta all’Onu per porre fine alla crisi umanitaria dei Rohingya in Myanmar
Da tempo rinnegati, discriminati e oppressi dal Myanmar (Birmania), i conflitti interni tra il governo centrale e la minoranza etnica musulmana dei Rohingya, non sono mai cessati.
Dopo l’escalation della discriminazione religiosa e razziale del 2012, un ulteriore inasprimento di violenze e repressioni a loro danno si sta verificando dall’ottobre 2016, a seguito delle morte di 9 poliziotti birmani per mano di militanti rohingya.
Nelle ultime settimane circa 27mila persone della minoranza musulmana sono fuggite dalla repressione militare messa a segno da gruppi dell’esercito nello Stato di Rakhine, i quali, come raccontano i sopravvissuti, non hanno esitato a compiere stupri, omicidi anche di bambini e saccheggi.
La situazione è tale che a fine dicembre, 23 uomini illustri del mondo, premi Nobel per la pace, politici e attivisti di varie nazionalità hanno scritto una lettera aperta al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, affinché intervenga per porre fine alla crisi “umanitaria dei Rohingya” che definiscono pari a “una pulizia etnica”. Pulizia etnica che potrebbe sfociare “in un genocidio” perché ha “tutte le caratteristiche di quelli accaduti in tempi recenti come in Ruanda, Darfur, Ruanda, Bosnia e Kosovo”.
“I Rohingya sono tra le minoranze più perseguitate al mondo, vittime da decenni di una campagna di emarginazione e disumanizzazione” scrivono i Nobel chiedendo all’Onu di affrontare la questione urgentemente e sollecitando “il segretario generale a visitare Myanmar nelle prossime settimane”.
I 23 chiedono all’Onu di garantire l’accesso alle organizzazioni di aiuti umanitari che allo stato attuale “è quasi del tutto negato in zona già estremamente povera”.
Gli autori della lettera si mostrano critici nei confronti del ministro degli Esteri birmano Aung San Suu Kyi, anche’essa premio Nobel per la pace e a suo tempo attivista per i diritti umani, ma fino ad ora sorda a tutti gli appelli. Si dichiarano “frustrati” che il ministro non abbia preso “l’iniziativa per garantire pieni e pari diritti di cittadinanza ai Rohingya”. I firmatari si rivolgono a lei, pur non essendo capo di stato, perché reputano che sia sua la “responsabilità di guidare Myanmar e farlo con coraggio, umanità e compassione”.
La lettera termina ricordando che dopo lo sterminio del Ruanda, i leader di tutto il mondo avevano detto “mai più” e ammonisce, esortando a prendere tempestivamente i provvedimenti a favore dei Rohingya, altrimenti “si finirà ancora una volta a essere osservatori passivi di crimini contro l’umanità e a torcerci le mani tardivamente, dicendo di nuovo “mai più”.
Tra i firmatari della lettera figurano gli italiani Romano Prodi, ex presidente del Consiglio ed Emma Bonino, ex ministra degli Esteri.