Goodbye my darling

E la data fatidica arrivò. C’è chi festeggia e chi piange in questo 31 gennaio 2020 che vedrà alle ore 24.00 – 23.00 per Londra – il Regno Unito uscire dall’Unione Europea, dopo 47 anni di storia comune.

“A fantastic day”, un giorno fantastico per il premier britannico Boris Johnson che ha firmato l’Accordo di recesso e programmato per l’occasione uno spettacolo di luci e l’emissione della moneta commemorativa da 50 pence con inciso la frase di Thomas Jefferson Peace, prosperity and friendship with all nations (Pace, prosperità e amicizia con tutte le nazioni).

Triste e mesto, invece, il saluto di Bruxelles. Gran parte degli europarlamentari, dopo l’approvazione  dell’accordo d’uscita (29 gennaio), si sono alzati e, a tratti tenendosi per mano, hanno cantato Auld Lang Syne, tradizionale canzone scozzese usata per gli adii definitivi. I colleghi britannici, alcuni commossi, hanno apprezzato e abbracciato i colleghi  e subito dopo sono usciti dall’aula. Stanno preparando gli scatoloni per tornare in Patria: sono in tutto 73 deputati, i cui seggi liberi saranno in parte  distribuiti fra i 27 Paesi membri e in parte congelati in attesa dei nuovi Stati aderenti all’Unione.

Ad ore sia  Bruxelles sia  Strasburgo  ammaineranno le bandiere britanniche sugli edifici istituzionali: Parlamento europeo, Commissione, Rappresentanza britannica presso l’UE, orami chiusa: il vessillo sarà custodito tra i cimeli del Museo della Storia dell’Europa .

Non si torna indietro dopo un referendum popolare (2016, e vinse il Leave, ossia uscire dall’Unione): lo disse chiaramente l’ex premier Theresa May a chi non era d’accordo:  Brexit significa brexit.  Ma nonostante la sua ferma convinzione fallì. Un percorso sofferto, con ribaltoni politici, proposte, bocciature, nuove elezioni e rinvii. Tre furono gli accordi d’uscita che la May tentò con l’Unione durante il suo mandato dal 2016 al 2019, tutti respinti e fu costretta alle dimissioni: quando le annunciò  aveva la voce incrinata dal pianto, soffocato a stento.     Strada in salita anche per il suo successore Boris Johnson, un falco ma  costretto a rinviare l’addio definitivo deciso per  il 29 marzo 2019, poi spostato al 31 ottobre e slittato definitivamente al 31 gennaio 2020.

Ma ora ci siamo. Dal 1° febbraio la Gran Bretagna invierà un ambasciatore presso l’Unione europea, mentre il rappresentante dell’Unione, il portoghese Joao Vale de Almeida, si insedierà a Londra. Immediatamente l’UE avrà 66 milioni di cittadini in meno (scendendo a 446 milioni di abitanti) e vedrà il proprio territorio ridursi del 5,5%.

Anche la Gran Bretagna da subito sarà fuori dai vertici UE, ritirerà gli stendardi europei dai suoi edifici istituzionali, rinuncerà al proprio commissario europeo, il suo premier non sarà più invitato ai Consigli europei, il suo governo e diplomatici non parteciperanno più alle riunioni né avranno voce in capitolo nelle decisioni ed infine,  i cittadini britannici non potranno partecipare ai concorsi per posti di funzionari Ue.  Continueranno, invece, a contribuire al bilancio comunitario e resteranno in vigore le regole attuali sul mercato unico, le dogane condivise, la libertà di movimento delle persone, la giurisdizione della Corte di Giustizia europea, sino a esaurimento della transizione,  prevista per il 31 dicembre 2020.

La storia dell’Unione Europa è stata finora costellata dalle adesioni degli Stati. La Gran Bretagna è il primo Paese a rinunciare di farne parte.

 

Fotografie: Europarlamento, 29 gennaio 2020 – I deputati salutano i colleghi britannici e il Regno Unito che lascia l’Unione (31 gennaio dalle h. 24.00) cantano, tenendosi per mano, Auld Lang Syne

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