Giappone. Premium Friday per arginare il fenomeno “karōshi”

Miwa SadoIl giornalista Pio d’Emilio, inviato di Sky Tg24, il 6 ottobre 2016, ha riportato sulla sua pagina Facebook la notizia  del riconoscimento ufficialmente  della causa della morte a 31 anni di Miwa Sado, giornalista della NHK, la televisione di Stato giapponese.  Il motivo del decesso, avvenuto nel 2013 ma confermato dall’ufficio nazionale del lavoro soltanto in questi giorni,  è ascrivibile  al  fenomeno del karōshi (lavoro eccessivo), che le ha procurato un infarto.

Nel  luglio di quell’anno,  scrive Pio d’Emilio, Miwa Sado aveva accumulato 159 ore di straordinari non retribuiti, un mese dopo Miwa è deceduta. La famiglia della giornalista ora spera che almeno “questa tragedia servi a cambiare le cose. Non si può lavorare per morire a 31 anni”. Aggiunge Pio d’Emilia che “nessun commento ufficiale è giunto da parte del Governo, né e la cosa è più grave, dai sindacati”.

Dalla storia di Matsuri al Premium Friday

MatsuriIl caso riportato da d’Emilia è  tutt’altro che isolato. Nel 2015 sono  state 200  le persone rimaste vittima dell’eccessivo lavoro, secondo fonti ufficiali  dello Stato nipponico, ma per gli esperti sono molte di più e parlano di migliaia, inserendo nella classifica del 2016 i casi di suicidio.  Fra questi la storia di  Matsuri Takahashi (nella foto a lato),   che a  24 anni nel dicembre 2015, si è lanciata da una finestra dell’azienda dove lavorava. Accumulava 100 ore di straordinario al mese, presso una grande azienda pubblicitaria, la Dentsu, dove lavorava da un anno e mezzo.

Il caso Matsuri sembra aver scosso gli animi e indotto il Governo ad  intervenire. Nel febbraio 2017 è partita la campagna  Premium Friday che propone alle aziende di porre fine alla giornata lavorativa dell’ultimo venerdì  del mese alle h. 15,00. Una proposta che ha suscitato le simpatie anche di grandi aziende che pensano che avendo più tempo libero, i giapponesi spenderanno di più, contrastando la deflazione che affligge il Giappone.  Infatti, secondo il japantimes.it,  la scelta dell’ultimo venerdì del mese è stata ben mirata:  molte aziende pagano gli stipendi il 25 del mese.

Con la campagna è iniziato un periodo di prova, con la facoltà per le aziende di applicare la misura o meno.  Ma ci vuole tempo affinché tutte le aziende si adeguino.  Nel settembre 2017, il presidente della Federazione di Business Giapponese,  Sadayuki Sakakibara, nel corso di una conferenza stampa sul tema,  ha dichiarato che se  la pratica “è stata promossa a Tokyo e in altre grandi città, non è stata adeguatamente diffusa nelle zone rurali” del Paese. Il Premium Friday non è la prima misura con la quale si cerca di porre fine al lavoro eccessivo, ma le precedenti non hanno sortito nessun effetto benefico.

Il Karōshi

Karōshi è una parola giapponese che vuole dire esattamente “morte per eccesso di lavoro” e in Giappone è ufficialmente una causa di morte. Le troppe ore di lavoro provocano arresti cardiaci da sforzo e  stress  accumulato e continuativo che, come abbiamo visto, induce  al suicidio.

Lo stesso fenomeno, che in inglese viene definito ‘overwork’, figura nelle statistiche del ministero del Lavoro del Giappone dal 1987. Ma la storia  viene da molto prima, esattamente dalle fine degli anni ’60 del Novecento, quando a causa dei salari troppo bassi, i giapponesi tendevano a lavorare il più possibile, per ottimizzare le retribuzioni.  Nel 1969 è stata registrata la morte di un operario di 29 anni, per karōshi. Ma non ha fermato il fenomeno. Si è andata creando una vera cultura del lavoro eccessivo,  che ha portato il Giappone, negli anni ’80 ad essere la seconda potenza mondiale.

Ribaltare i parametri culturali

Giapponese che dorme su panchine- OverworkIl lavoro non è imposto, così almeno ha spiegato qualche  mese fa al Washigton Post  il professore della Kansay University,  Koji  Morioka,  membro del Comitato per il contrasto del  karōshi. “In  un ufficio giapponese il lavoro straordinario è sempre lì, come se fosse parte dell’orario lavorativo normale” dice Moriaka: “Nessuno lo impone, ma i lavoratori lo vivono come se fosse obbligatorio”.
Per decenni le istituzioni giapponesi hanno lasciato carta bianca alle aziende in nome della produttività. Tornare indietro è molto difficile e, probabilmente, richiederà tempo, perché si tratta di ribaltare parametri culturali che coinvolgono,  per motivi opposti, sia i lavoratori che i datori di lavoro.

Ma non vogliamo spaventare nessuno. Né dare l’impressione che il lavoro in Giappone sia sempre e comunque solo karōshi.  Il post pubblicato da d’Emilia ha generato un dibattito al quale hanno partecipato anche italiani che lavorano in Giappone, che hanno scritto di lavorare  per le ore canoniche, così come i loro colleghi giapponesi.  Dopo le 18, affermano, tutti a casa.

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