Non è tutto bit quello che luccica
Editoria digitale, ecco il bivio. Tomba (come per i magazine di Yahoo) o radioso destino libero e mitologico (come spera chi ci prova grazie a bassi costi di accesso e tanta voglia di fare?). In molti, negli ultimi anni, hanno contemporaneamente preconizzato la fine dell’editoria normale (ovvero, di quella che si appoggia sulla carta), e il contemporaneo boom di quella del futuro (cioè, quella che avviene sugli schermi connessi alla rete, siano essi computer, tablet, smartphone).
Ebbene, questa tendenza – come tutte quelle epocali – non è così tranchant se è vero come è vero che ci sono fior di colossi che scappano a gambe levate dal web. È il caso – che ha fatto epoca e scuola in tal senso – di The Daily, il quotidiano americano made in Rupert Murdoch creato, pensato, edito e distribuito esclusivamente online che, avviato in pompa magna (“Stiamo cominciando una nuova era” disse il MegaEditore), chiuse i battenti nel 2012 dopo undici mesi di agonia, lasciando per una strada i 101 giornalisti sotto contratto per la sua avveniristica realizzazione (101 colleghi che pensavano di costruire il futuro e si trovarono a fare i conti con l’acciaio ossidato del presente).
Ed è il caso, che richiamavamo in incipit, di Yahoo: il colosso statunitense ha avvisato tutti i propri lettori (come è si legge in News Republic) dell’imminente chiusura di quasi tutti i propri canali magazine; giù il bandone sullo schermo per le sezioni Food, Health, Parenting, Makers, Travel, Autos e Real Estate. Rimangono in piedi – per ora – solo News, Sports, Finance e Lifestyle, mentre un grosso punto interrogativo è stato messo sulla sezione Tech.
Siamo di fronte alla dismissione di un intero progetto che aveva fatto di Yahoo un vero e proprio editore di contenuti con investimenti ingenti e tante aspettative.
Aspettative che il mondo del web non ha saputo mantenere, stritolato com’è in mezzo a idee diverse (Google, per esempio, si fa bello e forte del proprio News che, però, è poco di più di un asettico aggregatore di notizie regolato da marchingegni, software e algoritmi – e che è giornalismo quello? – e l’atavico problema di verificare l’equazione “Traffico internet = soldi in cassa”.
In effetti che il mondo della megaeditoria online scricchiolasse ce ne eravamo accorti già da un po’: a fine 2014 si era levato un grido di allarme dalla Gran Bretagna, di solito Paese-Laboratorio mondiale per questo tipo di tendenze e dinamiche.
Uno studio promosso da Adobe nel Regno Unito oramai più di un anno fa raccontava infatti che la migrazione verso il web delle testate di informazione si era, praticamente, fermata, ovvero: il numero delle nuove testate aperte online rispetto a quello delle vecchie testate contemporaneamente chiuse nel mondo di carta non si assomigliavano più, visto che erano nettamente prevalenti le chiusure rispetto alle aperture. Quindi: l’assunto per il quale gli editori dovrebbero chiudere le proprie pubblicazioni di carta per aprirle online – vero architrave di molte delle teorizzazioni sul futuro dell’industria editoriale – vacilla, risultando inesatto e falso.
E, intanto, il Bel Paese fa vedere dati del tutto analoghi: anche se l’Italia non è – al contrario dell’Inghilterra – un Paese archetipico per gli studi sulle tendenze mediali (per tanti motivi che fanno della nostra situazione, una situazione piuttosto diversa rispetto a quella degli altri Stati e Nazioni), è innegabile quanto il medesimo fenomeno di rallentamento dell’online sia ravvisabile anche da noi.
Lo abbiamo già detto alcune settimane fa: il lettorato italiano ha cominciato a disaffezionarsi anche alla mitologia del web come luogo libero e alternativo. E, intanto, da noi come nel resto dell’Occidente i lettori difficilmente accettano l’idea di pagare per leggere su Internet. E se è vero che il giornale cartaceo risulta non essere più una invenzione così perfetta come credevamo (si deteriora subito e dopo ventiquattro ore lo buttiamo via; ci fa sciupare un sacco di carta – e quindi di alberi, e quindi di aria; non è espandibile – non ci sono i link – e non è così portatile – spesso i quotidiani sono troppo grandi per stare comodi nello zaino, o in borsa) l’alternativa ancora non è così definita e definibile come pensavamo un tempo.
E allora? Allora probabilmente la cosa migliore è continuare a fare il proprio mestiere: quello di redattori, così come quello di lettori di notizie. Cercando di farlo sempre con intelligenza, partecipazione, e senso critico della “professione”. Contando di raccontarvi il futuro, in un futuro prossimo o remoto che sia, quando sarà un po’ più intellegibile.