COP25. Obiettivo irraggiungibile se le grandi economie non fanno la loro parte

Dal 2 al 13 dicembre 2019 si svolge a Madrid la COP25, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite.

Alla vigilia del vertice il segretario generale dell’Organizzazione intergovernativa, Antonio Guterres, ha denunciato che gli impegni finora presi dalla comunità internazionale per fronteggiare la crisi climatica – riducendo le emissioni di gas serra – sono “totalmente insufficienti”.

E anticipando il rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale che sarà presentato nel corso del vertice, il segretario generale ha aggiunto che l’anno 2019 è stato tra i più caldi degli ultimi 5 anni che sono stati “i più caldi mai registrati”, seguendo con l’elenco delle conseguenze catastrofiche del riscaldamento globale: come l’innalzamento del livello del mare e/o la siccità e/o le piogge acide e ‘amenità’ discorrendo, tra le quali la velocità con la quale ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno.  Di non ritorno per la specie umana.

Quel che manca, ha rincarato Guterres è “la volontà politica: di dare un prezzo al carbonio, di fermare i sussidi ai combustibili fossili, di smettere di costruire centrali a carbone”.

Ma resta aperta la porta della speranza grazie alla grande mobilitazione dei giovani del Fridays for Future, dei cittadini in generale ma anche di molte aziende.

Tuttavia ci vuole l’impegno delle grandi economie, dei maggiori produttori di CO2 (nell’ordine: Cina, Stati Uniti e India, ndr) che “non stanno facendo la loro parte e senza di loro l’obiettivo è irraggiungibile”.

Tornano sull’agenda del vertice, come accade da anni i temi delle negoziazioni dai Mercati del carbonio agli Allarmi della Scienza fino al Green climate fund che riguarda gli aiuti dei Paesi più ricchi per quelli in via di sviluppo e come scrivevamo già nel 2017, in occasione della COP23, rimbalza da vertice a vertice.

Poi ci sono gli USA che, come avevano paventato fin dal 2017 si sono ritirati dall’Accordo di Parigi (effettivo dal 4 novembre 2020); c’è il Brasile di Jair Bolsonaro che non farebbe nulla per preservare l’Amazzonia dall’aggressività degli sfruttatori della foresta ma che giacché Paese in via di sviluppo, chiederà “almeno 10 miliardi di dollari l’anno”.

Ma una novità che desta speranza c’è, ed è rappresentata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che, alla sua prima uscita dopo insediamento, porterà a Madrid le risoluzioni appena votate dal Parlamento Europeo che oltre ad aver dichiarato l’emergenza climatica e ambientale e l’ampio programma green per la conversione energetica del continente.

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