James Webb Telescope. La prima volta 70 anni fa a Bologna
Il 25 dicembre 2021, dopo un rinvio, è partito James Webb, il telescopio spaziale a raggi infrarossi che dovrà scandagliare l’universo. Lanciato dalla base di Arianespace a Kourou, nella Guiana Francese e trasportato in orbita solare da un razzo Ariane 5 che ha rilasciato il telescopio dopo 27 minuti di volo.
Ha raggiunto il suo punto di osservazione a 1,5 milioni di chilometri dalla terra, dopo circa un mese. L’annuncio della Nasa, ripreso dall’Ansa, del 24 gennaio 2022, informa che Webb si trova ora nella zona chiamata “secondo punto di Lagrange (L2), dove l’influenza della Terra, della Luna e del Sole si equilibrano.
James Webb – frutto della collaborazione tra la Nasa, l’Agenzia spaziale europea (Esa) e l’Agenzia spaziale canadese (Csa) – è il primo telescopio orbitale con uno specchio a tasselli, una tecnologia sviluppata per la prima volta dall’astronomo Guido Horn d’Arturo, presso l’Osservatorio Astronomico di Bologna. Il prototipo completato nel 1952, è oggi custodito ed esposto presso il Museo della Specola nella sede storica del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Bologna, insieme alle 17mila lastre fotografiche che testimoniano le migliaia di osservazioni astronomiche che portarono alla realizzazione dello strumento.
Il grande specchio di James Webb, infatti, ha un diametro di 6,5 metri ed è formato da 18 tasselli esagonali che, uniti fra loro come un mosaico, ricompongono la superficie riflettente.
Una “soluzione modulare” questo mosaico di Webb che “permette di trasportare nello spazio, ripiegandola su se stessa una struttura imponente – spiega la ricercatrice d’Astronomia Paola Focardi, dal sito unibo.it – grazie a un’idea nata nel 1931, quando fu annunciato il progetto di un telescopio sul monte Palomar, in California, il cui specchio sarebbe stato il più grande del mondo, composto da un pezzo unico con un diametro di 5 metri”.
Guido Horn d’Arturo – astronomo triestino, direttore dal 1921 l’Osservatorio Astronomico di Bologna (oggi sede del Museo Specola) – ebbe subito l’intenzione di superare il modello Palomar e pensò di riuscirci ipotizzando e, poi, realizzando per la prima volta, il sistema modulare: ossia una serie di piccoli specchi che unendosi formassero una struttura completa capace di riflettere in un’unica immagine ciascuna stella.
“Non fu un’impresa facile. Oltre alle tante difficoltà pratiche e alle incomprensioni della comunità scientifica dell’epoca, il progetto fu fermato bruscamente anche dalle leggi razziali, che costrinsero il professore ebreo, Guido Horn d’Arturo, ad allontanarsi dall’università (“dispensato dal servizio”) dal 1938 al 1945. L’impresa fu completata solo nel 1952”.
Quel prototipo che a giorni avrà 70 anni è servito a costruire James Webb i cui 18 tasselli esagonali “sono stati ripiegati per entrare nel razzo Ariane 5, ma due settimane dopo il lancio, una volta in orbita, il telescopio comincerà a prendere forma. Dopo che saranno stati spiegati i diversi strati dello scudo termico, i tasselli si apriranno e si congiungeranno per ricomporre la struttura finale”.
Il precedente telescopio orbitale, Hubble Space Telescope, nello spazio dal 1990, ha un pezzo unico per specchio del diametro di 2,4 metri e osserva l’universo da 400 chilometri di distanza dalla Terra. Il mosaico di Webb del calibro di ben 6,5 metri e con la sua capacità di orbitare a oltre 1,5 milioni di chilometri dal nostro pianeta, potrebbe portarci a conoscenze finora inaudite, svelandoci l’universo profondo.