Vincenzo D’Amico. Il gesto gentile della grande mezzala della Lazio ’74

Un sentimento abbastanza comune è ricordare una persona che non c’è più per le tante cose che ha fatto, per la sua vita un po’ …spericolata, per quel che ha lasciato dietro di sé e, nel nostro caso, sicuramente come uno dei giocatori dotati di talento che hanno calpestato l’erba dei campi italiani con la maglia della Lazio e, con la quale, divenne campione d’Italia nella stagione 1973/1974

Quando ancora non aveva compiuto 20 anni, era già ritenuto, come si suole dire, un ‘genio’ del pallone. I suoi movimenti agili, veloci e spontanei li portava con sé fin dai giorni che esordì con l’Almas (Appio Latino Metronio Associazione Sportiva), e quando passò sotto la guida di Tommaso Maestrelli, ex calciatore e tecnico della Lazio del ’74, il suo futuro altro non poteva essere che roseo.

Oggi che Vincenzo D’amico ci ha lasciati, oltre a un velo di pianto che scende dai miei occhi, irrompe di lui un ricordo semplice che però va al di là della materialità delle cose.

Correva l’anno 1974, la squadra laziale dei più giovani, alloggiava alla pensione Paisiello, zona Parioli, in Via Bertoloni, a pochi passi dall’ambasciata americana. Anch’io albergavo là ma per un fatto molto triste e doloroso: passavo le notti ad assistere nella  clinica vicina, mio fratello che combatteva per la vita. Era un giovane di 25 anni, portiere in una squadra di Quarta Serie, apprezzato ‘schiacciatore’ quando era stato pallavolista, ovvero uno sportivo a tutto tondo che però il destino non lo voleva più sui campi di gara.

Ritornando a quel freddo mese di febbraio del 1974, ricordo che quel gruppo di giovani calciatori, durante l’ora del pranzo, portava un po’ di allegria nel salone ristorante, ridevano e si scambiavano battute in romanesco. Qualche briciola di pane viaggiava da un piatto all’altro e, per qualche attimo, anch’io ritrovavo il sorriso.

Finito il pranzo si ritrovavano ai tavolini del piccolo bar e, chi teneva banco, era sicuramente Vincenzo, con la sua folta capigliatura di ricci. Era un po’ il “capo clan”, perché ormai era entrato in prima squadra e i giornali parlavano molto bene di quella mezzala che faceva da spalla a Chinaglia.

Ne parlai persino con mio fratello, che appassionato com’era di calcio vedeva tutte le partite in televisione e faceva la raccolta delle figurine Panini.

Il gesto che non ho dimenticato e che oggi mi ritorna in mente fu, quando una mattina, assonnata e stanca rientrando alla pensione Paisiello, chiesi al barista dell’albergo un caffè con cornetto. I ragazzi bianco celesti, si accingevano ad andare all’allenamento, erano pieni di vita ed entusiasmo e si pizzicavano l’un l’altro occupando completamente il bancone del bar.

A quel punto furono sgridati bonariamente dal barista e, sollecitati a farmi posto, posò la tazzina davanti a me, mentre proprio Vincenzo mi porgeva la bustina dello zucchero.

Un gesto di cortesia che mi fece capire quanto la delicatezza di quel giovane facesse parte del suo essere, così, come fino all’ultimo, nelle sue apparizioni in televisione è sempre apparso sicuro, ma nel contempo molto educato.

Se non fossi stata così presa dai miei problemi e doveri, del quale mi rammarico oggi, sicuramente avrei chiesto a D’Amico un autografo e lo avrei così posto in calce a questo mio breve ma sentito ricordo.

 

 

 

Foto di copertina: Vincenzo D’Amico, dal tweet della squadra calcistica Lazio

 

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.