Gigi Simoni. Un gentiluomo nel calcio e nella vita
In questo periodo la televisione è un intreccio di commenti ed interviste che frastorna. Poi all’improvviso la notizia che sorprende e che lascia un amaro senso di sgomento: Gigi Simoni non c’è più.
Forse non tutti lo ricordano ma per gli amanti del calcio è quasi una leggenda. Prima da calciatore e poi da allenatore ha sempre indossato i panni dell’uomo per bene, chiuso in quell’educazione innata che pochi hanno. Una sola volta perse le staffe, in quella famosa partita di fine campionato quando alla sua Inter fu negato un rigore evidentissimo contro la Juventus e la conseguenza fu la perdita di uno scudetto che in effetti i colori nerazzurri avrebbero meritato. Se ne parlò a lungo, l’arbitro Ceccarini commise un errore che ancora oggi viene sottolineato quando si parla di calcio.
Simoni è stato l’allenatore che ha ottenute il maggior numero di promozioni da una categoria all’altra, otto, ha vinto il Seminatore d’oro nell’edizione del 1997 ’98 un premio esclusivo dedicato ai migliori allenatori italiani.
Lo vogliamo ricordare per la sua eleganza e disponibilità nelle interviste e quando raccontava dei periodi più felici trascorsi a Milano, Genova e Roma.
Luigi Simoni, detto Gigi, giocò nel Napoli vincendo una Coppa Italia che replicò quando diresse l’Inter e vi aggiunse il trofeo della Coppa Uefa.
Come giocatore crebbe nel Mantova di Edmondo Fabbri, poi girò l’Italia approdando nel Torino nella Juve nel Brescia e chiuse la carriera proprio nel Genoa divenendone subito dopo allenatore.
Ricordo un incontro casuale ma cortese che ebbe con mio padre. Correva l’anno 1972 e Simoni giocava nel ruolo di ala destra nel Genoa e ne era il capitano. Una domenica mattina la mia famiglia percorreva su di una vecchia Austin A 40, corso Europa, che da Nervi portava al quartiere San Martino per assistere nel pomeriggio alla partita. La benzina stava per finire e mio padre fermò l’auto su di una piazzola dell’Agip vicino dallo stadio “Carlini”. Prima di noi si era fermata un’altra vettura targata BO che, fatto il rifornimento, si accingeva a ripartire. Contemporaneamente ad una seconda pompa anche mio padre fece il pieno. Ripartirono le due auto quasi nello stesso momento ma quella che ci precedeva accelerò ed imboccò lo stradone di corso Europa per prima.
Quel tratto era in leggera salita, e mio padre vide scivolare dal tettuccio della prima automobile qualcosa, rallentò, si fermò e scese. Raccolse da terra un portafoglio, lo aprì e scoprì dalla patente che il proprietario era Gigi Simoni. Sorpresa! Da vero ed antico genoano non poteva che capitargli questa fortuna. Ci recammo subito allo stadio Luigi Ferraris, ma i cancelli erano ancora ermeticamente serrati; approfittammo del tempo che ci separava all’inizio della gara concedendoci un piccolo ristoro in una trattoria di Corso Buenos Aires, e fummo i primi a presentarci ai cancelli dei distinti, situati al lato opposto della tribuna centrale. Entrammo, salimmo i gradoni per raggiungere il primo piano e mio padre si fece accompagnare nei pressi degli spogliatoi. Fu chiamato Gigi Simoni, e gli fu riconsegnato il portafoglio smarrito al distributore.
Non ricordo quello che riferì mio padre circa la consegna, ma orgogliosamente ci mostrò un gagliardetto del Genoa, donato forse dal giocatore o forse dal presidente Berrino. Quel triangolo di stoffa rossoblù, con al centro un grifone dorato, fece bella mostra di se in camera di mio fratello per molti anni assieme alle tradizionali foto della gradinata nord fasciata da bandiere e vessilli.
Oggi ricordo questo episodio con tanta nostalgia e con la certezza che questo signore del calcio guarderà dal cielo i più bei tramonti: e saranno sempre rosso e blu come i colori che Simoni ha indossato ed amato di più.
Immagini: Lugi Simoni, detto Gigi, nella veste di allenatore e di giocatore