Sessantadue giorni per cambiare la traiettoria della storia degli Usa

Nel 1968, dopo sessantadue giorni dall’assassinio  di Martin Luther King, venne ucciso Robert Kennedy. Come il primo anche Robert, detto Bobby, era un carismatico paladino dei diritti civili. La loro morte violenta e ravvicinata segnò definitivamente  la svolta della traiettoria storica degli Stati Uniti d’America, iniziata con la presidenza di  John Kennedy, ucciso a sua volta   nel 1963. Cinque anni, dunque, di speranze per un mondo migliore, più giusto, più equo, ma anche più civile ed evoluto, dove futuro voleva  significare ed essere progresso.  Cinque anni per destare speranze,  le stesse che albergano in molti di noi,  e per tracciare il cammino, a tutt’oggi l’unico possibile, da percorrere per realizzarle .

Il visionario Robert

Il democratico Robert Francis Kennedy, già ministro della Giustizia durante la presidenza del fratello John  e dopo senatore di New York,   la sera del 5 giugno 1968 era a Los Angeles, presso l’Hotel Ambassador,  per festeggiare con i suoi sostenitori la vittoria elettorale ottenuta alle primarie della California.

In corsa per le presidenziali Usa del 1968,  aveva già vinto le primarie in Indiana, Nebraska, Dakota del Sud. Ora la vittoria  californiana  sembrava aprirgli un cammino certo verso la Casa Bianca.

Era da poco passata la mezzanotte e Robert stava lasciando l’hotel attraverso il passaggio delle cucine seguito dalla stampa, quando un uomo, Sirhan B. Sirhan,  gli si  pose davanti e gli sparò. Morì poche ore dopo, all’alba del 6 giugno, al Good Samaritan Hospital.  Aveva soltanto 42 anni.

Sirhan B. Sirhan, arrestato e poi condannato,  dichiarò di aver commesso l’attentato per il bene del suo Paese: palestinese considerava Kennedy un traditore per il suo dichiarato sostegno a Israele;  ma tutt’ora c’è  chi asserisce che Sirhan sia un presunto colpevole e molti sono certi che il vero mandante dell’attentato sia stata la mafia, che Robert contrastava con vigore e a viso aperto.

Il giovane senatore  apprese la notizia della morte di Martin Luther King, il  4 aprile 1968, mentre era intento in un comizio a Indianapolis.  Diede  l’annuncio dell’attentato al pubblico presente.  “A Dallas hanno ucciso mio fratello. A Memphis hanno ucciso un altro fratello (King ndr), mio e vostro. Noi siamo travolti dal dolore – disse Robert – Voi conoscete il mio. Io conosco il vostro. Ma non è una ragione per uccidere. Non qui. E neppure quando facciamo i guardiani del mondo […] Anche mio fratello (John ndr) è stato ucciso da un uomo bianco. Tocca a noi, che rimaniamo, realizzare i sogni per i quali loro hanno sacrificato la vita e che sono: giustizia e amore tra gli uomini”.

I destini intrecciati

Le parole amore,   giustizia e compassione da contrapporre a divisione, odio, violenza e illegalità ricorrevano spesso nei discorsi di Robert Francis Kennedy, che considerava tali virtù e sentimenti le chiavi per approdare  al capovolgimento di un sistema che depredava, invece di coltivare, le risorse dell’uomo e del mondo.

Celebre e, a distanza di 50 anni,  attuale più mai il discorso che tenne alla Kansas University nel marzo 1968 dove, criticò  la scriteriata pratica di considerare  il Prodotto Interno Lordo (PIL), come indicatore di benessere della nazione.

Martin Luther King e Robert Francis Kennedy, MLK e RFK come vengono chiamati negli Usa, uomini legati da uno stesso tragico destino, la precoce morte violenta e accumunati  da una visione del mondo comune.  Provenienti da mondi diversi, Martin Luther King figlio di una famiglia di pastori protestanti della Giorgia, a sua volta reverendo,  Robert Kennedy nato in una famiglia bostoniana, tra le più ricche e potenti degli Usa, condividevano la battaglia per i diritti umani e civili: entrambi ritenevano urgente che tutti gli americani acquistassero pari diritti e dignità  per partecipare al processo democratico degli Usa. Entrambi non hanno esitato a mettere a repentaglio la loro vita per i loro ideali.

La mostra e il libro

Coraggiosi, come sanno essere gli Spiriti Ribelli, com’è intitolata la mostra in corso a New York fino al 20 maggio 2018, che li ricorda mettendoli a confronto con materiale fotografico, reperti e documenti originali: come  i famosi poster Honor King: End Racism e I am a Man’, esibiti nella marcia a Memphis, guidata da  Coretta Scott, moglie di King,  a pochi giorni dall’assassinio del reverendo; o il bottone bianco e nero con i 2 nomi incisi (nella foto accanto a destra),  indossato da un newyorkese.

Una mostra che prende le mosse dal libro  The Promise and the Dream: The Interrupted Lives of Robert F. Kennedy and Martin Luther King jr (La promessa e il sogno: le vite spezzate di Robert F. Kennedy e Martin Luther King jr) del giornalista David Margolick, nelle librerie americane dal 4 aprile.

Con la prefazione dello storico Douglas Brinkley, attraverso interviste originali, documenti dell’FBI, testimonianze e racconti attendibili corredati da 80 fotografie, il libro ricostruisce il rapporto fra King e Kennedy, poco conosciuto perché consumato soprattutto privatamente.  Un rapporto complesso, scrive Margolick, fra 2 personalità che si “controllavano a vicenda” a volte con cautela quando non con imbarazzo e antagonismo ma che “imparavano l’uno dall’altro” si sostenevano, si assistevano  e si ammiravano.

La storia del rapporto di due americani che ci hanno fatto una promessa sigillata con le loro vite. Spetta a noi, adesso, di realizzare il sogno.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.