Modellismo navale: arte, hobby e lavoro
Una caratteristica della storia dell’uomo è il costante sforzo che fa per assicurarsi la sopravvivenza e quando possibile le migliori condizioni di vita attraverso l’uso delle sue braccia e del suo cervello.
Ma l’uomo non vive solo di lavoro, ha anche passioni e va spesso alla ricerca di quel qualcosa di diverso, vuole imparare cose che possano offrirgli gioia e soddisfazione personale per riempire i vuoti del tempo fra la fatica quotidiana ed il proprio sonno ristoratore.
Così proprio l’essere umano riesce a scoprire che non è una vera fatica il dedicare qualche ora della giornata a fare ciò che gli piace e che gli permette di impegnare le sue attitudini in qualcosa che lo rende pure felice.
Vogliamo così raccontarvi la storia di un ragazzino che inseguendo i suoi sogni è diventato un bravissimo modellista di navi in scala ridotta e facendo ciò speriamo di spronare altri giovani ad intraprendere questa che è un’arte proprio con la “A” maiuscola.
Era un giorno d’inverno…
la scuola a Portobello (quartiere caratteristico di Londra) avrebbe aperto i battenti allo 8,30, il riverbero del primo sole nascente gettava sulla spiaggia una luce fresca che invogliava a spalancare le verdi gelosie delle case disposte di fronte al mare.
Dal fondo di una strada laterale coperta dalla sabbia di lavagna arrivò ansante, il respiro di un monello che correva, cartella a tracolla e giubbetto, stivaletti di gomma che lasciavano scoperto il ginocchio, pantalone pendulo maggiormente da un lato perchè trattenuto da una sola bretella.
Un botto, la cartella gettata a terra con il suo contenuto fece un rumore sordo simile alla caduta di uno zoccolo. Con il naso schiacciato contro i vetri, gli occhi spalancati in estatica meraviglia, il ricciuto monello si fermò davanti l’ingresso di una piccola officina.
All’interno qualcuno, in maniche di camicia nonostante il freddo, stava lavorando nella calma solitudine del giorno che era in procinto di nascere. Una folata di vento fecere risuonare un secco starnuto, trattenuto a malapena da una manica della giubba portata alla bocca, e una perentoria “tirata su di naso” attirarono l’attenzione dell’uomo in maniche di camicia.
Un omone grosso, biondo, teutonico apparve all’uscio. “Che fai tu qui; è presto per la scuola, vai a casa.” Il ragazzo abbassò la testa, guardò a terra. Raccolse la cartella e via, come un fulmine, andò a nascondersi dietro un gozzo appena rientrato dalla nottata di pesca.
A mezzogiorno e mezzo la campanella suonò per avvisare che le ore di scuola erano terminate. Lorenzo, questo il nome del ragazzo, saltando a piè pari gli ultini scalini si fermò nuovamente avanti all’officina di Wissiak e ai vocianti inviti dei compagni di classe rispose categoricamente:” Tra poco vengo”
Era affascinato dalle costruzioni in legno, dalle spatole, i chiodini ben allineati negli scomparti delle cassette e sordo pure al richiamo della fame restava inchiodato in punta di piedi su quel nero gradino di ardesia fino a quando l’ingegnere girava a doppia mandata l’uscio dell’officina.
Giorno dopo giorno l’inverno si faceva sempre più pungente, ma Lorenzo rinnovava sempre quei quotidiani appuntamenti. Finché una mattina, Wissiak gli prese una mano, lo fece entrare e gli chiese:” Ti pace proprio tanto questo modellino di nave, vuoi vederlo da vicino e se vuoi prendi quei ricci e scalda la colla, non senti fuori fa freddo:”
Lorenzo era entrato in un mondo fantastico. Ed aveva fatto la più affascinante scoperta della sua vita. I modelli in scala di molte navi, lo studio dei montaggi degli alberi, i disegni per costruire e riprodurre fedelmente polene, bozzelli, fanali e lanterne gli facevano dimenticare ogni cosa e dietro i racconti dell’ingegnere riviveva le passate storie vere dei vascelli, esaltandovisi come un piccolo capitano.
“ Se da grande vorrai fare il modellista, devi andare a scuola di disegno” disse un giorno Wissiak. Così fece, ed in breve la malattia del modellismo gli entrò nel sangue, era sufficiente un pezzo di legno, un segnale di sughero di rete, un paio di piombi rubacchiati qua e là e subito sotto l’agilità del suo temperino nascevano piccoli gozzi di rara perfezione.
Passarono gli anni, affinò la sua tecnica ed utilizzò invenzioni proprie come quando negli ossi di seppia, fregati l’un l’altro, per pareggiare gli spessori ed intenerirne il composto, comprimeva il modello in legno di un cannoncino o di un mortaio, fino ad ottenerne lo stampo o la sesta. Poi da un’inserzione laterale faceva la “colata” del piombo ed a operazione conclusa anche le sue navi ad armamento militare avevano le attrezzature identiche all’originale.
Per lui la notte era sempre un tempo perduto e il non trovare sonno voleva dire veleggiare con i pensieri lontano, allora una spinta indicibile lo sollevava dal letto e in un batter d’occhio il modello sul trespolo lo rivedeva compagno notturno.
Nacque così in Lorenzo l’idea di avere per sé un piccolo museo, costruire tanti “pezzi” che rappresentassero un secolo di storia, navi legate a vicende epiche, a partire dal tempo dei vichinghi ai giorni nostri. Costruì a tale proposito 25 modellini di navi che rappresentavano la storia velica della civiltà umana. Ma ad uno ad uno non seppe resistere all’incessante richiesta dei “foresti” e degli amici, e tutti quei bei capolavori lasciarono la sua casa.
“Pamir” “Passat” “Bounty” “Cutty Sark” “Nina” “Pinta” “S.Maria”, navi scuola di nazionalità francese, olandese, ed italiana, sono stati tutti frutti della sua grande passione. Nel suo piccolo cantiere domestico, con coltelli e temperini, in mezzo a frecce, vele di stralo, mezzane, quadrate e maestre, gabbie, barili e velacci, passava le sue serene giornate. Pronto a partorire sempre nuovi modelli,come “La Loire” composta di 39 vele, con il fasciame in legno “a linea d’acqua”, in scala da 1-150 eguale al modello esposto al museo della marina di palazzo Chaillot di Parigi.
Un “clipper” di 3.100 tonn. adibito ai trasporti delle merci, costruito dai fratelli Bordes intorno al 1897 e che per 17 anni solcò i mari di tutto il mondo. Aveva quel veliero una velatura quadrata. Era un 4 alberi a palo, un esempio veramente prezioso dell’abilità dei costruttori di quell’epoca.
Abbiamo raccontato la storia di Lorenzo Lubrano che da piccolo monello divenne un buon modellista, sempre e solo come appassionato, perchè la sua vita la trascorse come operaio in una grande industria, ma ancor oggi, che non c’è più, nella sua città lo ricordano con tanta nostalgia perchè seppe inseguire quel suo sogno, ovvero realizzare velieri, timoni, chiglie, alberi maestri e viverne in simbiosi come solo l’essere umano sa godere nel veder passare tra le sue mani quel fascino che la storia marinaresca riesce ancora a trasmettere.
Il nostro è dunque un invito ad entrare nel mondo del modellismo, in questa fantastica scorribanda tra il fasciame del legno, perchè si può ancora scoprire i tanti segreti del mare e viverli così esaltando l’ingegno e ardimento dell’uomo.