Martin Luther King. La lunga marcia di un sogno

E’ un uomo colui che dice sempre la verità e non usa la sua verità per scopi personali. E’ un uomo chi non ha vergogna di quello che dice e non usa le parole per difendersi dagli altri. E’ un uomo chi non giudica ma non si fa ingannare.  E’ un uomo colui che riesce a pensare alla provvidenza come speranza e proporla come carità.  E Martin Luther King era sicuramente quest’uomo.

Era cresciuto in un paese ove la povertà non impediva che i bimbi giocassero tra loro, sia fossero bianchi o neri, finche non varcavano le porte delle scuole: allora la diversità prendeva i connotati di una regola ferrea, bianchi in un edificio, neri in un altro. Fu così che Martin Luther King si accorse che il colore della sua pelle aveva un unico significato. Non gli piacque e cominciò a pensare ad abbattere quei muri di separazione, di combattere i pregiudizi razziali, di lottare per una parità di genere che la sua formazione religiosa (era figlio di un reverendo battista: sarà, a sua volta, reverendo) gli aveva instillato nel cuore.

Forse non immaginava che, per ottenere quella parità, sarebbe caduto sotto il “fuoco” di un uomo bianco, ma una cosa è certa: quello fu un fuoco che non produsse sangue, ma una fiamma che nessuno è mai riuscito a spegnere.

Il 4 aprile 2018 saranno trascorsi 50 anni dall’attentato in cui M. L. King perse la vita, ma il suo nome sarà ricordato per sempre. E’ stato il leader nero della non violenza e dei diritti civili, la figura carismatica della lotta contro la segregazione razziale ed è riuscito con la sua sola parola a far diventare oceaniche le folle che lo ascoltavano.

La sua fu una rivoluzione pacifica – sulle orme di  Mahatma Gandhi  – costruita proprio sul trasmettere e far capire che il segreto per vivere assieme era quello di avere la forza di amare e donarsi agli altri.

L’America in quegli anni viveva momenti difficili ma il presidente John F. Kennedy (a destra nella foto) gli donò fiducia e amicizia.

Un’amicizia sulla quale il reverendo King ha sempre contato e gli ha permesso di guidare la storica Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, il 28 agosto 1963, alla quale parteciparono circa 250mila persone, 50mila dei quali erano neri.  Una marcia storica, alle quale fu attribuito il merito di aver favorito l’approvazione del Civil Rights Act (1964) – preannunciata dallo stesso John Kennedy a 2 mesi dalla marcia – che decretò illegale la segregazione razziale.

Fu in quell’occasione che M. L King pronunciò il suo famoso discorso “I have a dream, Io ho un sogno” una frase che risuonò talmente forte e penetrante da riuscire a varcare gli oceani e diventare il simbolo della lotta contro il razzismo.

Io ho un sogno – disse il reverendo davanti al Lincoln Memorial – che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. Io ho un sogno che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi!”

Nel 1964 gli fu assegnato il Nobel per la Pace.

Come spesso accade i risultati positivi non furono immediati ma il mondo riconobbe in M. L. King una figura emblematica, importantissima per una società che stava per cambiare.

Robert Kennedy (a destra nella foto), ricordandolo dopo la sua morte, rivolse agli americani queste parole: “Anche mio fratello (John ndr) è stato ucciso da un uomo bianco. Tocca a noi, che rimaniamo, realizzare i sogni per i quali loro hanno sacrificato la vita e che sono: giustizia e amore tra gli uomini”.

Il presidente Reagan gli rese omaggio nel 1986 proclamando festa nazionale ogni 3° lunedì di gennaio.  Donald Trump, attuale presidente Usa,  ha anticipato la commemorazione del   Martin Luther King Day (Mlk day)  al 15 gennaio, data effettiva di nascita del reverendo nel 1929.

Oggi che il mondo si sta muovendo, che le razze s’incontrano e scontrano, che tutti diveniamo parte di un villaggio globale, ci chiudiamo in noi stessi perché non sappiamo vedere di là dal nostro orticello. Martin aveva già visto e sviluppato quest’analisi e per questo aveva invitato tutte le nazioni a predisporre la possibile ragione di una coesistenza pacifica, che fosse fondata sul non ignorare le differenze di colore e di culture ma di farne un concetto comune.

Se non riusciamo a vivere come fratelli moriremo tutti come stolti. L’amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo” una delle frasi più belle del reverendo King.

Sulla sua tomba vi è inciso: “Finalmente libero, grazie a Dio onnipotente io sono finalmente libero”.

I suoi scritti, come le registrazioni dei suoi discorsi, raccolgono la sintesi principale dell’esperienza dell’uomo come essere umano, perché solo così si può garantire la coerenza a vivere la realtà etica dell’esistenza di ogni persona.

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