Loria. L’anima popolare per celebrare l’Unità d’Italia
Nel 1905, prima di andare in Africa per i miei studi, dovetti recarmi a Circello del Sannio. E là mi venne 1 ‘idea di abbandonare gli studi di etnografia esotica che mi avevano fino allora obbligato a viaggi lontani e pericolosi, e di occuparmi invece del nostro popolo. Sapevo che l’Italia, pur essendo popolata da gente di una sola razza, presentava, soprattutto per la sua storia, una grande varietà di usi e di costumi (Lamberto Loria)
Dopo aver setacciato e raccolto più dati e reperti possibili sugli usi e costumi in Nuova Guinea, Eritrea, Europa del Nord e dell’Est fino al Turkestan, l’etnografo Lamberto Loria agli inizi del secolo scorso, intraprese studi e ricerche sul campo, anche in Italia, per documentare la cultura agropastorale e le sue articolate e significative tradizioni popolari che si consideravano già allora – per le grandi modifiche che la recente Italia unita stava compiendo – giunta al tramonto.
Già nel 1881, Luigi Pigorini, direttore del Regio Museo Preistorico Etnografico che sorgeva a Roma presso il Collegio Romano, aveva avanzato al Ministero della Pubblica Istruzione l’importanza di realizzare “un’apposita sede” che comprendesse “ciò che hanno tuttora conservano di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili e ornamenti, nelle fogge degli abiti”.
La proposta rimase istituzionalmente inattesa. Ma nel 1906 Loria si propose di fare esattamente ciò che il direttore del museo aveva chiesto, raccogliendo documenti e manufatti popolari del nostro Paese per incoraggiare lo studio del folklore e fare in modo che “gli italiani conoscessero gli italiani” rafforzando così il sentimento di unità e riconoscimento nazionale. Nacque così in quell’anno a Firenze il primo Museo di etnografia italiana.
Ci ricorda Alberto Pesce, antropologo e sociologo, : “L’avvicinarsi alle tradizioni popolari italiane permette la scoperta di un patrimonio di oggetti inestimabile e ricco di storie e assolutamente unici. Si pensi agli abiti tradizionali o agli oggetti di uso comune come coltelli o zappe e aratri che rappresentano un tipo di saperi che con il tempo sono andati scemando o addirittura perduti. Si pensi ai diversi presepi presenti nella collezione del museo esempi mirabili di artigiani italiani e simbolicamente portatori di narrazioni e vissuti”.
Giubileo 1911: il Regno d’Italia compie 50 anni
Al principio della seconda decade del secolo scorso dunque, per festeggiare il giubileo laico dell’Unità d’Italia (1911) si pensa di creare un evento popolare nel senso più autentico del termine, per corroborare la coscienza e percezione comune, mostrando al tempo stesso i progressi compiuti dalla giovanissima nazione.
Il ministro della Pubblica Istruzione dell’epocam Ferdinando Martini, nella sua veste di vice presidente del Comitato per l’Esposizione Internazionale che si sarebbe organizzata a Firenze, Torino e a Roma, chiese a Loria, per l’importante anniversario dell’1911 di trasformare il Museo Preistorico entnografico in Mostra, garantendogli in cambio la realizzazione del Museo Nazionale di Etnografia patrocinato dallo Stato, una volta terminata l’Esposizione universale.
Era il 1906 e Loria accettò l’incarico dopo 2 anni, quando la raccolta di strumenti culturali, inizialmente di 2mila pezzi, era già arrivata a 5mila pezzi.
Successivamente diede vita a nuove e approfondite ricerche, per ampliare la collezione con testimonianze delle varie regioni italiane; ricerche alle quali parteciparono accademici, insegnanti, medici, sacerdoti e studiosi locali. Un esercito di esperti, coordinati dallo stesso etnografo che arricchì la collezione di decine di migliaia di testimonianze.
30mila pezzi catalogati e contestualizzati, alcuni autentici altri, come gli abiti e i costumi delle varie tradizioni, fedelmente riprodotti dagli originali ormai troppo logori, furono presentati al pubblico, distribuiti tra la Mostra Etnografica e la Mostra Regionale.
Situate nel nuovo quartiere romano, nato nell’ex Piazza d’Armi, (l’attuale quartiere Prati e viale Mazzini, sponda destra del fiume Tevere), le due mostre e, relative iniziative collaterali, furono il fulcro dell’Esposizione.
Complessivamente 14 padiglioni regionali con la costruzione di edifici caratterizzati dei motivi tipici locali, circondati da circa 40 “gruppi etnografici” ossia quadri viventi che ricreavano monumenti o spaccati urbani del bel Paese.
L’aggregazione degli oggetti, il valore culturale
Lamberto Loria considerava che ciascun oggetto, considerato individualmente, non aveva un valore specifico, ma se aggregato in modo logico, nel rispetto della sua storia e funzione, a una serie di altri oggetti e idee, allora sì che assumeva un ruolo fortemente evocativo che definiva “l’efficacia dimostrativa dei manufatti” con la quale nessuna descrizione poteva competere.
Affermava Loria: “… Eppure un oggetto può talvolta raccontarci la storia dell’anima popolare assai meglio di molte pagine scritte, e quasi sempre è di una efficacia dimostrativa che altre categorie di documenti non raggiungono: così l’amuleto più fedelmente di qualunque notizia, proverà la superstizione; e i rozzi utensili dei montanari sardi, meglio di una lunga descrizione, daranno l’idea della misera vita di quei nostri fratelli. Spesso anzi avverã che l’oggetto non possa essere sostituito da nessuna descrizione. Come faremo a intender bene la tecnica di certe industrie primitive, senza averne sotto gli occhi gli utensili? ”
L’esploratore ed etnografo nato ad Alessandria di Egitto, stabilì una densa corrispondenza tra manufatti e documenti popolari: linguistici, descrizioni di usanze, trascrizioni di leggende “perché tutte queste varie categorie di documenti non differiscono tra loro sostanzialmente, bensì si integrano e a vicenda si illustrano. Si annodavano i fili per una memoria collettiva che formava, come un puzzle finalmente completato, “l’identità italiana”.
Lamberto Loria morì a soli a 58 anni nel 1913. I turbolenti decenni che seguirono (l’avvento del nazional – fascismo e le due guerre mondiali) procrastinarono la realizzazione del Museo nazionale che trovò finalmente sede definitiva nell’aprile del 1956, presso il Palazzo delle Tradizioni Popolari all’Eur (nuova urbanizzazione romana che avrebbe dovuto ospitare l’Esposizione Universale del 1942 – E 42- irrisolta per la guerra), con la denominazione di Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e articolato nelle 3 grandi aree tematiche: La terra e le risorse, Vivere e abitare, Riti, feste e cerimonie.
Attualmente il Museo ha preso la denominazione di Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale.
A distanza di 110 anni, celebriamo questo anniversario rotondo ricordando l’impresa espositiva di Loria, in nome di un’ identità nazionale, a volte, minacciata dal regionalismo radicale, venato di afflati indipendentisti che voltano le spalle a quell'”efficacia dimostrativa dei manufatti” che nasce dall’unità nella diversità.
“L’identità si fonda nel passato che spesso viene dimenticato, la mostra organizzata da Loria ci trasmette le relazioni e le connessioni tra passato, presente e futuro, chi eravamo e cosa siamo oggi” – ci dice il sociologo Pesce, condensando l’essenza dell’esposizione e del messaggio antropologico e sociale di Loria.
Immagini: 1) l’etnografo Lamberto Loria; 2 – 3) Roma, interno dell’ Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale