E all’improvviso, l’estate sprofondò nei sapori, nei colori e nei ricordi dell’autunno
Prendo a prestito da Virgilio queste parole: “ Verrà un giorno in cui sarà dolce ricordare…” ed io aggiungo, il sentore di profumi e colori particolari.
Giorni con albe luminose dove la bellezza della natura era già frutto forse di un capriccio divino, mattini troppo brevi per goderli appieno, meriggi dove il sole cercava di vincere la battaglia di ore per ritardare un tramonto, sere e notti che ti venivano incontro troppo presto ma che ti conciliavano un sonno ristoratore.
Ecco, erano e sono i miei autunni, quelli della gioventù, ed oggi quelli, di un’avanzata maturità.
Il passato non può essere solo un ricordo ma irrompe come un tuono e i miei occhi, appesantiti dagli anni vedono ancora visi e sorrisi di tante persone che non ci sono più e di altre che assieme a te ricordano, forse, giorni felici.
Così tramite la macchina fotografica dei ricordi vedo cespugli di biancospino, mazzi di crisantemi che percorrono i viali dei cipressi fino alle dimore dei morti, muretti coperti da ortica che raccoglievo per aggiungerla alle altre erbe con le quali mamma faceva i ravioli.
Lungo i colli euganei
L’allegria che accompagnava il percorso dei carri, lungo i colli euganei, ricolmi di uva appena raccolta, e pronta a diventare il nettare di Bacco, ed eguale gioia tra i contadini alla raccolta delle olive che avrebbero poi donato quell’oro giallo che è il nostro olio. Veniva a noi consegnato e deposto nelle giare in cantina e su nostra richiesta mai prima del mese di gennaio perché così ricevevamo quello più limpido e con meno …deposito.
Le ultime raccolte di funghi “tardivi” che avevano un sapore speciale, in bocca ti rimaneva a lungo quel sapore di porcino, ovulo, “finferlo” o chiodino che ancora oggi sai che non assaporerai forse più. Poi dopo le prime piogge, armati di un cucchiaio a doppia apertura che veniva usato per fare le palline con il gelato, si andava a costeggiare i muretti per cogliere le lumache che venivano fuori dalle fessure tra pietra e pietra.
La nonna metteva le lumache in una pentola per “purgarle” e sento ancora le sue urla quando noi sollevavamo il coperchio per darci un’occhiata dentro. Avete mai mangiato i cachi con zucchero e marsala? Non sapete che cosa vi siete persi: una delizia senza pari. Ed era una merenda alla quale non avrei mai rinunciato.
E poi i colori delle piante, di quelle foglie che diventano d’oro, e che brillano in mezzo ai rami sempre verdi, quel rumore lieve che fanno mentre cadono a terra e diventano coperta per il terreno oramai umido. Non si può descrivere quel rumore, d’accordo, ma io lo sento ancora, e accompagna la fotografia del frutto regina del bosco: la castagna.
A Tarsogno
Mi rivedo a Tarsogno, paesino nell’Appennino, ligure emiliano, in provincia di Parma, ove negli anni 60 avevamo una piccola casetta, poco frequentata e che faceva da approdo quando si andava a fare una breve villeggiatura. In uno di quegli autunni, in compagnia dell’amica Anna, compagna di scuola delle medie, trascorremmo lì una settimana.
Il tempo era buono e oltre che andare in una fattoria sul Cento Croci a comprare uova, latte ed una ricotta che descrivere non so, passavamo varie ore nei boschi limitrofi. Inciampavamo in ricci spinosi appena caduti a terra da ove ci occhieggiavano le castagne e armate di guanti e scarponcini non proprio nuovi, grazie alla nostra gioventù, facevamo piegamenti con la schiena e le ginocchia che oggi non ci sogneremmo più di fare, e raccoglievamo quei frutti con particolare gioia.
Tornate a casa venivano deposte su di un lenzuolo perché asciugassero bene e poi messe in ceste di vimini per essere portate alle nostre famiglie. Lessate e tuffate nel latte erano quasi sempre la nostra cena, arrostite e tenute calde in coni di carta erano il nostro dolce della domenica, quelle più piccole venivano seccate vicino alla stufa e nel proseguo dell’inverno facevano compagnia alle zuppe con scarola o ceci oppure diventare marmellate per le crostate. Com’erano belli, quegli anni!
Bella come una favola. Ma forse una favole non è
Il mondo è cambiato, ma quando rileggo la poesia di un autore genovese, mi sembra di ritornare a vedere nonna, mamma, e l’amica Anna e così la scrivo (traducendola dal dialetto), perché è bella come una favola, anche se forse una favola non è!!!
LE CASTAGNE
Era una giornata d’autunno, e nel fresco,
facendo quattro passi nella natura,
mi sono trovato in mezzo a un bosco antico,
dove andavo spesso con un amico,
a raccogliere le castagne cadute a terra,
quando eravamo ancora bambini, in tempo di guerra.
A casa le mangiavamo bollite per pranzo
con due gambe di sedano e un po’ di sale.
Mi sembra di sentire ancora la voce di mia madre:
“Vieni, è pronto in tavola ho fatto le “pelate”
mangiamone 2o3 senza sprecare
che se ne avanzano servono per cenare.
Vana illusione, inutile speranza,
alla sera c’erano solo le arrostite,
e ciò per risparmiare l’acqua, l’olio e il sale.
Rivedo ancora mio padre che le fa “ballare”
nella padella vecchia e con i buchi. (In genovese, pertusi)
E’ un frutto nostro, senza pretese,
un frutto fatto un po’ come i genovesi,
chiuso dentro in un guscio, quasi nascosto,
ma con un cuore tanto dolce e generoso
che tanto ci ha aiutato in quei momenti
quando c’era solo fame sotto i denti.
Mi sono così piegato, ne ho raccolto due o tre,
ma i miei figli non le hanno neppure volute guardare.
Questo era ieri, e l’oggi hai me!
GIANNI RAFFO – detto Fessùa in genovese
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