Corsi e ricorsi storici. Le medichesse della Scuola Medica di Salerno

L’arte del parto è stata sempre affidata alle donne.  Depositarie di tale sapere fin dai tempi più remoti, si tramandavano di generazione in generazione l’assistenza alle donne durante la gravidanza, il parto e poi al puerperio.

Figlio di una levatrice di nome Fenarete era il filosofo greco Socrate nato nel V secolo a.C.  e alla quale  s’ispirò per il suo metodo  detto, appunto,  maieutica (dal greco maieutiké  formato dalle parole máia levatrice e  téchne arte).  Secondo  Socrate, infatti,  come una levatrice non crea ma aiuta la madre a far nascere il bambino, così il filosofo attraverso il dialogo porta l’interlocutore a far emergere verità che è in lui, in modo naturale e autentico: il filosofo lo aiuta a partorirla.  Lo racconta Platone, allievo e seguace di Socrate in un passo del Teeteto dove, facendo parlare Socrate in prima persona, scrive: “La mia arte di maieutico in tutto è simile a quella delle levatrici, E proprio questo io ho in comune colle levatrici: anche io sono sterile, sterile in sapienza […]. Ed è chiaro che, quelli che sono entrati in relazione con me, da me non hanno mai appreso nulla, ma che essi, da sé, molte e belle cose hanno trovato e generato”.  La sua arte di filosofo è come l’arte del parto  della  mamma Fenarete, con cui  “ne differisce solo in questo, che essa aiuta a far partorire uomini e non donne, e provvede alle anime generanti e non ai corpi […]”.

Evoluzione della levatrice

Ma così come Socrate si schermiva parlando di “sterile sapienza” così le levatrici non facevano ricorso soltanto  ai metodi empirici ma sottoponevano la loro secolare esperienza a ponderatezza e  studio,   portando l’arte del parto ad evolversi.

Già nell’antica Roma, infatti,  le máia greche diventano obstetrices, che significa “colei che sta davanti”; segno che si era pervenuti ad una metodologia per la nascita più specifica. Progresso testimoniato poi dal trattato per ostetriche e  mamme Gynaecia di Muscione del VI secolo d. C. dove  si legge che l’ostetrica deve insegnare “a quella che non ha mai partorito e non ha mai provato le doglie che, quando queste giungeranno, dovrà spingere trattenendo il respiro e spingendo verso il basso“. E dove si afferma che la buona ostetrica deve conoscere le “medicine” perché non dove limitarsi ad assistere la donna durante il parto, ma intervenire in tutti i casi di “patologia femminile”.

E sulla scia di questo percorso  nasce l’incredibile esperienza delle Mulieres della Scuola Medica Salernitana.

La Scuola Medica di Salerno, la più antica e celebre istituzione medica dell’Occidente

La Scuola Medica di Salerno  si aprì ad esperienze del tutto nuove come avere non solo allieve  ma anche insegnati donne, le quali, non più confinate nell’ angusto ruolo di ostetriche, potevano accedere ai ranghi della gerarchia universitaria  ed esercitare l’arte medica.

Un centro di eccellenza, come diremmo oggi, la Scuola  conobbe il suo massimo splendore tra il X e il XIII secolo tanto da conferire alla città di Salerno il titolo di Hippocratica Civitas (Città Ippocratica) e a portare, nel 1231, l’imperatore Federico II a stabilire che soltanto i diplomati presso la Scuola avrebbero potuto esercitare l’arte medica.

La Scuola abbracciava tutto lo scibile medico del tempo: dagli insegnamenti di Ippocrate (IV secolo a.C.) e  Galeno  (II secolo) alla traduzione dei testi arabi, mentre il perno della didattica era la sperimentazione e l’esperienza che ogni medico-insegnate trasmetteva ai suoi allievi. Oggi gli storici, pur non conoscendo con esattezza la data di fondazione della Scuola, sono unanimi nel considerarla come la più antica e celebre istituzione medica del mondo occidentale e la più alta manifestazione culturale del Medioevo.

Il primo a parlare dell’importante presenza femminile nella  Scuola Medica di Salerno è stato lo storico  priore della stessa Scuola, Antonio Mazza, che nel XVII secolo con il suo  saggio Historiarum epitome de rebus salernitanis (reperibile su Internet)  scrive “abbiamo molte donne erudite, che in molti campi superarono o eguagliarono per ingegno e dottrina non pochi uomini e, come gli uomini, furono ragguardevoli nell’ambito della medicina“.

Trotula de Ruggero

Tra le Mulieres Salernitanae Trotula de Ruggiero è la più famosa. Vissuta nel XI secolo le sue lezioni furono inserite nella raccolta degli insegnamenti dei sette grandi maestri della Scuola, il    De agritudinum curatione.

Scarse le notizie sulla sua biografia, anche se di questa medichessa ne parlavano già gli scrittori del Duecento. Figlia della importante e aristocratica famiglia de Ruggiero di Salerno, Trotula ebbe accesso agli studi e studiò medicina. Medico era anche il marito Giovanni Plateario da cui ebbe 2 figli che a loro volta si dedicarono all’arte medica.

Trotula fu una grande innovatrice nel campo della ginecologia: cercò nuovi metodi per lenire i dolori del parto e per il controllo delle nascite.  Studiò l’infertilità, avanzando l’ipotesi che le cause non dipendessero soltanto dalle donne ma anche dagli uomini, in pieno contrasto con le teorie mediche del suo tempo. Riportò le sue scoperte ed esperienze in 2  trattati: il  De passionibus Mulierum Curandarum antes et post partum (Sulle malattie delle donne  prima e dopo il parto) con un capitolo dedicato alla pediatria, e il  De Orantu Mulierum (Sui cosmetici) dove scrisse sulle malattie epidermiche e sulla loro cura, dispensando  anche consigli di bellezza. Ai tempi non esisteva l’attuale distinzione  tra medicina e cosmetologia ed inoltre la Scuola Medica di Salerno aveva una concezione olistica della medicina.

Scritti in latino medioevale, lingua parlata in tutta Europa, i 2 trattati si diffusero rapidamente. Il primo trattato divenne famoso con il titolo di  Trotula Major, mentre il secondo era indicato come il Trotula Minor.  Conobbero la loro massima fortuna nel XIII secolo. Furono adottati come testi classici nelle Scuole di medicina fino al XVI secolo. Ma il Trotula Maior venne trascritto più volte e, poi, tradotto in varie lingue, subendo delle  modifiche e come accadeva spesso alle autrici, ad un certo punto venne attribuito ad un uomo: al marito o a un immaginario medico di nome Trottus.

Rinnegate e poi riabilitate

Nel XIX poi, lo storico tedesco Karl Sudhoff, sostenuto da altri colleghi, escluse che una donna avesse potuto scrivere un trattato così importante e Trotula fu cancellata dalla storia della medicina, recuperata però dagli  storici italiani fin dalla fine dello stesso secolo insieme alle altre  importanti Mulieres Salernitanae, come: Francesca Romana, chirurgo del XII secolo; Abella Salernitana che scrisse i  trattati De Atrabile (Sulla bile nera) e De Natura Seminis Humani (Sulla natura del seme umano); Mercuriade alla quale sono stati attribuiti studi sulla peste; Rebecca Guarna che studiò e scrisse sull’embrione e Costanza Calenda.

La riabilitazione delle dottoresse salernitane coincise con i movimenti femminili per la conquista  della parità dei diritti e delle pari opportunità, compreso l’accesso agli studi e alla carriere scientifiche: un percorso tutto in salita e non ancora ultimato, malgrado gli illustri precedenti.  Corsi e ricorsi storici di vichiana memoria?

 

Nota: nella biblioteca digitale statunitense JSTOR è stato pubblicato il lavoro Trotula, Women’s Problems and the professionalization of medicine in the middle ages di F.Benton.

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Una risposta

  1. antonio molfese ginecologo storico della medicina ha detto:

    ottimo articolo

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