Il prezioso, preziosissimo autografo leopardiano
Il 27 dicembre del 1831 venivano scoperte le 12 schede e il più votato risultò essere Giacomo Leopardi. Fu così che il poeta venne nominato socio e corrispondente dell’Accademia della Crusca.
Lo racconta la stessa l’Accademia, il cui secolare archivio della storia della lingua italiana è disponibile anche online. Oltre ai documenti relativi alla compilazione delle cinque edizioni del Vocabolario (1612, 1623, 1691, 1729-1738, 1863-1923) si trovano diari, verbali, lezioni accademiche e atti amministrativi, concorsi letterari, raccolte di carteggi, testi di lingua, donazioni di spogli, studi e dizionari di studiosi non accademici.
Tornando a Leopardi la fortunata elezione lo risarcì, forse, dello “sfortunato concorso cruscante” che due anni prima aveva visto le sue Operette morali “soccombere di fronte alla Storia d’Italia di Carlo Botta e perdere così il prestigioso primo premio di mille scudi, destinato all’opera che fosse riconosciuta come una produzione di merito singolare”.
Il poeta apprese della nomina mentre si trovava a Roma con il fedele amico Antonio Ranieri e ricevette il diploma accompagnato dalla comunicazione dell’abate Zannoni, segretario dell’Accademia, al suo ritorno a Firenze – dove ha sede l’Accademia dalla sua fondazione avvenuta nel 1583 – nel marzo 1832.
E fu a Zanoni che Leopardi intestò il ringraziamento scritto per essere stato accolto fra i soci. Un’occasione per elogiare la Toscana, la cui allora capitale, Firenze, era già considerata la culla dell’italiano. Una manciata di anni prima, infatti, Alessandro Manzoni, alle prese con la stesura del suo Promessi Sposi, aveva trovato proprio nel fiorentino, parlato dalla classe colta, quella lingua giusta per il suo romanzo e per diventare lingua unitaria.
“Cara e beata e benedetta Toscana, patria d’ogni eleganza e d’ogni bel costume e sede eterna di civiltà – scriveva Leopardi a Zannoni, elogiando quella che considerava la sua “seconda patria”, Firenze, appunto, porto di pace e sicurezza”, luogo ideale per “consumar il resto” della vita e “rendere l’ultimo respiro”.
Non sarà così: nel 1833 con Ranieri il poeta si sposterà a Napoli e lì sì, vi rimase fino alla morte, che lo colse nel 1837.
Alla Crusca che non aveva saputo, voluto o potuto cogliere l’evidente e innegabile valore singolare delle Operette morali che conservano tutt’ora, la lettera di ringraziamento col “prezioso, preziosissimo autografo leopardiano” è fra i carteggi dell’800 del suo prezioso, preziosissimo Archivio.
Immagine: autografo di Giacomo Leopardi, dalla pagina Facebook dell’Accademia della Crusca