1791 Polonia: prima costituzione scritta d’Europa

L’intento iniziale fu quello di avvicinare l’Europa agli europei (La mia Europa di Czesław Miłosz)

Durante la puntata di Otto e mezzo del 9 maggio 2022, Antonio Scurati, intervenendo nel dibattito a proposito dell’aggressione russa all’Ucraina, affermava fra le altre cose: “l’allargamento [dell’U.E.] a est non è stato una volontà e un interesse dell’Europa occidentale ma degli Stati Uniti d’America egemoni … a nostro dispetto e a nostro discapito”.

Un paio di giorni più tardi, scriveva il professor Pasquino su Domani, in un articolo dal titolo L’allargamento è coerente con il sogno europeo: “… gli europei orientali, a cominciare dagli spesso molto criticati polacchi e ungheresi, … anche quando è possibile e opportuno obiettare alle loro scelte, sono europei … lo dimostrano la loro storia e la loro cultura, i loro intellettuali e i loro dirigenti politici … Qualsiasi obiezione nei confronti dei cittadini e dei sistemi politici “orientali” che si fondi sulla inadeguatezza insuperabile di alcuni di loro alla democrazie e ai (nostri) valori, non soltanto non trova traccia nel pensiero di tutti coloro che hanno contribuito a dare vita all’Unione Europea, ma contiene elementi di intollerante etnocentrismo, al limite del razzismo …”.

Nella postfazione a Polonia. Il paese che rinasce di Jerzy Lukowski e Hubert Zawadzki, del resto, Marcello Flores attribuiva alla sostanziale ignoranza del lettore l’ambigua postura verso “una storia fin dall’inizio pienamente europea … che noi conosciamo meno bene e che siamo sempre stati indotti a ritenere di minore rilievo culturale”.

Offrire un esempio (accessibile alla comprensione di tutti e, nello stesso tempo, di straordinaria portata) dell’appartenenza dell’ Europa “orientale” a una casa comune, in cui confini e demarcazioni di qualsivoglia sorta dovrebbero finalmente cedere di fronte alla reciproca comprensione e conoscenza, mi sembra un doveroso corollario a queste parole.

Il 3 maggio del 1791, a seguito di febbrili discussioni e riunioni all’interno del sejm (la camera bassa del Parlamento), veniva approvata la prima costituzione scritta d’ Europa, ovvero la seconda al mondo dopo quella degli Stati Uniti (1787), dalla quale traeva peraltro un modello di efficace stringatezza.

Suddivisa in un preambolo e undici articoli, essa era stata concepita “per la salvezza dello Stato” (“dla ocalenia Państwa”), laddove le mire espansionistiche di Caterina II di Russia non lasciavano presagire nulla di buono per l’immediato futuro, e rappresentava il tentativo di “liberare la Polonia dalla schiavitù dell’assenza di governo” (“uwolnieniem Polski z niewoli nierządu”).

In tal senso vanno letti l’abrogazione del liberum veto (che bloccava di fatto i lavori  della Dieta, poiché ne godeva ogni membro della szlachta, la nobiltà di origine sarmatica), l’introduzione del principio di ereditarietà del trono (l’eleggibilità del sovrano lo aveva reso impermeabile alle influenze di quello che potremmo oggi definire “estero vicino”: lo stesso re Stanisław August Poniatowski, ex-amante della zarina, rischiava di diventarne una acquiescente pedina), il rafforzamento dell’unione con la corona lituana e il potenziamento dell’esercito.

La Carta costituzionale polacca intendeva, quindi, catalizzare le riforme interne e assumeva connotati locali; era, d’altra parte,  appieno moderna, perché si ispirava ai principi dell’Illuminismo, ovvero la sovranità dei popoli, la tripartizione dei poteri, l’idea della libertà connaturata all’uomo, come mezzo per la autorealizzazione di questi, ma anche in quanto presupposto di una partecipazione attiva alla vita politica.

Richard Butterwick- Pawlikowski, professore di storia all’Università di Londra, sottolinea come riflettesse profondi cambiamenti sociali in atto, concependo il naród come la comunità di individui-cittadini appartenenti a un’unica patria, anche se non a un unico ceto. Venivano garantiti l’ampliamento delle prerogative dei borghesi, abitanti delle città, nell’ottica di una spinta all’ulteriore urbanizzazione della Polonia, e dei diritti dei contadini, i quali avrebbero potuto rivolgersi all’amministrazione statale per dirimere le controversie con i proprietari terrieri.

La Costituzione del 3 maggio non evitò la spartizione del territorio polacco fra Russia, Prussia e Austria, e la sua successiva cancellazione dalla cartina geografica del nostro continente.

Lo scrittore politico Hugo Kołłątaj (1750-1812) esortò a considerare le decisioni del Sejm della primavera 1791 “come l’ultima volontà della patria morente che … per spirito veramente illuminato, saggia legislazione, sentimento e rispetto dei diritti umani, eguaglia le nazioni più avanzate …”

Per 123 anni la nazione sopravvisse e preparò la propria rinascita, facendo riferimento anche alla Costituzione che aveva optato per  un giusto compromesso fra l’anarchia aristocratica del passato, l’assolutismo monarchico dei Paesi confinanti, il Terrore in cui la  Rivoluzione Francese era sfociata.

Nel 1919, la data del 3 maggio venne proclamata Festa nazionale e tale rimase fino a quando il governo filosovietico insediatosi a Varsavia alla fine della Seconda guerra mondiale la abolì.

Commemorata e celebrata dalle comunità di Polacchi in esilio, fu reintrodotta soltanto nell’aprile del 1990, ovvero quattordici anni prima dell’ingresso della Repubblica di Polonia nell’Unione Europea.

 

 

 

 

 

 

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