Obbedire per paura o per rispetto? La naturale inclinazione del bambino
“Obbedire per paura o per rispetto? Prove di una precoce comprensione dell’autorità nei bambini”, è la ricerca di Francesco Margoni, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento.
Margoni si occupa di studiare l’acquisizione e lo sviluppo di concetti morali fondamentali come, ad esempio, quello di bontà e cattiveria oppure quello di autorità. abbanews.eu lo ha intervistato in merito al suo studio per approfondire il concetto di ubbidienza, tassello significativo per comprendere la natura dell’uomo.
Quando l’educazione può influire sulla naturale attitudine a riconoscere l’autorità o il bullismo?
L’educazione può avere un’enorme influenza sulle nostre attitudini per così dire ‘naturali’. Chiaramente, quest’influenza può essere positiva e formare individui che giudicheremmo virtuosi, oppure essere negativa e formare individui difettosi.
Nella ricerca che i miei collaboratori ed io abbiamo condotto, bambini tra un anno e mezzo e due anni hanno mostrato di possedere aspettative sorprendenti: obbedienza agli ordini impartiti da chi viene riconosciuto come autorevole dal gruppo, sia in sua presenza che in sua assenza, obbedienza a chi si impone sugli altri utilizzando la forza fisica solamente quando questo è presente e può controllare da vicino il comportamento dei subordinati.
Immaginiamo dunque un bimbo piccolo con la madre.
Non possiamo prevedere se o in che misura il bimbo obbedirà alle imposizioni della madre o ne rispetterà i divieti. Sappiamo però che con buona probabilità egli comprenderà la dinamica sociale in corso. Il bimbo, in altre parole, avrà sino dalla primissima infanzia consapevolezza di come generalmente gli individui si rapportano all’autorità, delle dinamiche di obbedienza e disobbedienza, di come queste dinamiche dipendano dal modo in cui l’individuo dominante si impone sugli individui subordinati.
In questo senso, genitori ed educatori, nell’interazione educativa con i bambini, possono fare leva sulla comprensione intuitiva dei piccoli. Si tratta di ricordare ai bambini quello che essi sembrano già conoscere.
Come nasce lo studio? Con quali premesse e quali obiettivi?
Da una trentina d’anni circa, grazie all’introduzione di alcune novità metodologiche, lo studio sperimentale della cognizione nell’infante (0-2 anni) ha compiuto notevoli progressi. In generale, un numero non trascurabile di evidenze suggeriscono che la mente del bambino non sia una tabula rasa, come qualcuno pensava, e che, invece, sin dai primi mesi di vita, la nostra mente abbia la capacità di prevedere e comprendere molte dinamiche, da quelle fisiche a quelle sociali.
Ad esempio, l’infante comprende molto presto che un oggetto continua ad esistere anche quando non è visibile. Sviluppa molto presto, dunque, il concetto di ‘permanenza dell’oggetto’. L’infante ha alcune capacità matematiche elementari e persino qualche capacità di ragionamento logico. Sembrerebbe essere in grado di interpretare le azioni altrui come causalmente legate a stati mentali quali credenze, intenzioni e desideri, e sembrerebbe in grado di cogliere alcune sfumature morali del comportamento altrui. Esiste, dunque, una serie di studi sull’infante che ne restituisce l’immagine di un essere con una ricca vita mentale e un complesso insieme di aspettative su come il mondo là fuori funziona.
Da pochi anni a questa parte, in alcuni centri di ricerca s’è poi sviluppato l’interesse per lo studio della comprensione nell’infante delle dinamiche di dominanza. Quest’ultima viene definita come la capacità di prevalere sull’altro. Un primo studio ha mostrato che i bambini, già nel primo anno di vita, si aspettano che un individuo grande prevalga su uno piccolo, e non diversamente. Un secondo studio ha mostrato che infanti di sei mesi si aspettano che un personaggio appartenente a gruppo più numeroso prevalga su un personaggio appartenente a un gruppo meno numeroso.
Un terzo studio ha poi mostrato che se l’infante vede un primo individuo prevalere su un secondo in un certo contesto (ad esempio, i personaggi si scontrano per occupare lo spazio centrale nella scena), si aspetterà che in un contesto diverso (ad esempio, i personaggi si scontrano per ottenere dei giochi) sia sempre lo stesso individuo a prevalere. Ci sarebbe, dunque, nel bambino piccolo, una buona comprensione della ‘dominanza sociale’, come viene chiamata.
Nessuno si era però mai chiesto se una comprensione più complessa fosse presente nella mente dell’infante. Nessuno si era mai chiesto se il bambino molto piccolo è in grado, prima ancora di sviluppare un comportamento di obbedienza vero e proprio, di comprendere la differenza tra due opposte forme di potere o dominanza sociale: da una parte, l’imposizione tramite l’uso della forza fisica e della coercizione; dall’altra, una forma di potere che è invece spontaneamente rispettata dai subordinati, perché ritenuta legittima o giusta.
In particolare, ci stava a cuore capire se già nella prima infanzia il bambino si aspetta che individui subordinati obbediscano ai comandi dell’autorità anche quando questa si assenta momentaneamente (come una mamma che lascia il figlio da solo per recarsi nella stanza accanto), ma non genera la stessa aspettativa quando è un bullo, un violento, a impartire il comando. In sostanza, l’idea di cui abbiamo cercato traccia nella mente dei bambini è quella per cui il subordinato, di fronte a un certo tipo di potere che ritiene legittimo o giusto, sente il dovere morale di obbedire.
La ricerca da noi condotta è stata una vera e propria scommessa. Senso comune e certe correnti storiche della psicologia, come quella freudiana ad esempio, per lungo tempo e ancora oggi ci dicono che il bambino piccolo nulla sa dell’obbedienza e della disobbedienza, e che deve, con i primi anni dell’educazione, acquisire piano piano la capacità di individuare l’autorità e introiettare norme morali, norme convenzionali e l’idea che all’autorità si debba obbedienza. Sfidare questa prospettiva ci sembrava interessante e, visti i presupposti metodologici e le molte ricerche condotte in questi anni sulla prima infanzia, anche possibile.
La naturale predisposizione dell’essere umano all’ubbidienza sia per rispetto che per paura è una condizione “psico-biologica” che si riscontra in ogni individuo?
La ricerca che ho condotto non suggerisce l’idea che l’essere umano sia predisposto all’obbedienza. Io credo che lo sia, in un modo importante e non banale. D’altra parte, mi pare, ne abbiamo quotidianamente esperienza; senza una forte e radicata tendenza al rispetto per la gerarchia, senza una forte propensione all’obbedienza, la società umana, per come la conosciamo, nel bene e nel male, non esisterebbe.
I dati che i miei collaboratori ed io abbiamo raccolto suggeriscono che già nel secondo anno di vita ci sia nel bambino la capacità di comprendere alcune dinamiche di obbedienza e disobbedienza. In particolare, vi sarebbe l’aspettativa che il subordinato obbedisca al bullo solamente quando costretto o per paura e che, invece, il subordinato obbedisca spontaneamente, per rispetto, all’autorità che non si impone tramite l’uso della violenza.
Non è possibile, tuttavia, allo stato attuale, sapere se questa comprensione si riscontra in ogni individuo. Possiamo pensare che, se facciamo eccezione per alcune condizioni cliniche, i dati raccolti, considerata la tenera età dei partecipanti, siano generalizzabili e indichino una comprensione presente universalmente. L’idea è che se viene trovata evidenza di una comprensione complessa in bambini molto piccoli, sia difficile spiegarne l’acquisizione senza teorizzare un meccanismo di apprendimento specifico per l’ambito di conoscenza, in questo caso l’ambito sociale e morale. Secondo alcune proposte, questi meccanismi di apprendimento specifici per ambito o dominio li abbiamo ereditati dalla nostra storia evolutiva come specie.
Riuscire a spiegare la presenza di aspettative complesse nei bambini con meccanismi generali per dominio, dunque meccanismi che permettono tanto l’apprendimento della matematica che l’apprendimento delle regole di comportamento sociale, diventa implausibile, anche se, certamente, non impossibile. Si tratta, in questi casi, di proporre un argomento o un’inferenza alla miglior spiegazione, come dicono alcuni filosofi.
Saranno senz’altro utili, nel decidere la natura universale della comprensione dell’obbedienza e dei diversi tipi di potere, indagini su bambini appartenenti a culture diverse dalla nostra. Purtroppo, queste indagini sono rare. E ho la forte impressione che bisognerà attendere il sollevamento economico di molti Paesi che attualmente versano in condizioni di miseria, prima di poter assistere alla fioritura di uno studio della psicologia che sappia prendere seriamente in considerazione le differenze culturali.
Che effetti può avere la vostra ricerca sul mondo della pedagogia e della psicologia?
Il messaggio principale lanciato dal nostro studio al mondo della pedagogia è che, nonostante il manifesto comportamento disobbediente del bambino piccolo, l’educatore può tenere a mente che con buona probabilità siamo in grado, già prima di compiere il secondo compleanno, di comprendere intuitivamente dinamiche sociali anche molto complesse.
Il messaggio al mondo della psicologia è che ora ci sono le primissime evidenze che nelle strutture di base della mente dell’essere umano sia radicato una sorta di principio di autorità con il quale l’individuo interpreta il mondo sociale in cui vive. Un’aspettativa legata al principio di autorità è senz’altro quella che alla legittima autorità si obbedisca.
Un’estensione della nostra ricerca utile al mondo della pedagogia è la seguente. Immaginiamo che un individuo il cui potere è basato sul rispetto e un individuo il cui potere è basato sull’uso della violenza diano al bambino alcune informazioni. Se queste informazioni sono tra loro in contrasto, di chi si fiderà maggiormente il bambino? Prenderà per vero quanto comunicato dal bullo o preferirà dare ascolto a chi esercita diversamente la propria dominanza sociale? Abbiamo in cantiere una serie di studi che mirano a fornire delle risposte a queste domande.
Trovare evidenza sperimentale che il bambino, anche molto piccolo, valuta l’affidabilità e la qualità dell’informazione ricevuta anche sulla base delle proprietà sociali e morali di chi fornisce l’informazione è prezioso per chi, nell’ambito della pedagogia, si interroga sulle strategie di apprendimento.
Si prevede un follow up della ricerca? Con quali obiettivi?
Il nostro studio suggerisce che nell’infante vi siano alcune aspettative su come i subordinati si relazionano a diversi tipi di potere sociale. Un passo successivo, nell’ottica di raccogliere evidenze della presenza di un principio di autorità nella struttura di base della nostra architettura mentale, sarà indagare se il bambino piccolo possiede aspettative riguardo a come il potente si relaziona al subordinato.
Quando iniziamo a formare l’aspettativa che l’autorità basata sul rispetto, ma non il bullo, si prende cura dei subordinati? Mantiene l’ordine sociale? Dà l’esempio, guida l’azione collettiva e rinforza i principi morali di base, come quello, ad esempio, di equità sociale? Queste sono tutte domande che aspettano di ricevere una risposta da parte dei ricercatori impegnati nello studio sperimentale dello sviluppo della cognizione umana.