Ri-costruiamo nuovi spazi di apprendimento

Dopo l’angusto 25 aprile,  giornata spesa nel ricordo della Liber-azione, si attende con fervore il fatidico 4 maggio 2020.  La liberà agognata. Ebbene, nell’immagine stringente di Mattarella  che in totale solitudine sale le scale dell’altare della Patria in una piazza Venezia deserta si consumano le solite illogiche polemiche: riaprire o no le scuole.

In realtà, al di la là delle visioni discordanti in materia, sembra ormai improbabile concludere l’anno scolastico in presenza vista la necessità di contenere ulteriormente la diffusione del virus. Considerati i dati dei decessi e dei contagi,  sembra ancora stringente la finalità di non riaccendere ulteriori focolai. I vecchi ancora bruciano in seno alla vecchia Italia.

Di certo la scuola potrebbe, per vari motivi, rappresentare un probabile incubatore del Covid-19.  Molteplici fattori che pare sfuggano a menti avvezze alla riapertura, voci  stridenti che fanno appello alle coscienze sfiancate da questa epidemia. Così  il ragguaglio di sicurezza del Ministero volto a salvaguardare la salute, prima di tutto dei nostri giovani,  non piace a tutti. I figli a casa costituiscono un problema per alcuni non di facile risoluzione.

Certamente, nel momento in cui si riprendono i ritmi lavorativi la prole senza scuola e senza nonni diviene un dilemma quasi insormontabile, difficile da sciogliere. Tuttavia,  non è bene tentare di risolvere questioni complesse a colpi di slogan, quindi ideologie, in quanto tali, pericolose, lontane dalla riflessione.

In un’ottica analitica che guarda alla realtà dei fatti si dovrebbe alimentare il senso civico. Prima questione: su tutto il territorio nazionale gli edifici scolastici presentano una variegata struttura che pone problemi logistici. Logica di sistema.  Un viaggio dalle Alpi agli Appennini potrebbe far rinvenire palazzi antichissimi ospitati da numerose aule; strutture del primo ventennio dove abitano officine del sapere; edifici moderni trasformati in laboratori d’innovazione; insomma tipologie edili differenti ad inglobare  conoscenza e competenza.

Detto altrimenti, in molte scuole esistono incombenti dicotomie, ad esempio laddove si ha la fortuna di poter godere di aule immense dove la distanza di sicurezza potrebbe ampiamente essere rispettata, esistono corridoi stretti dove, viceversa, l’assembramento sarebbe inevitabile. D’altronde,  esistono molti edifici di moderna fattura che presentano di contro larghi ingressi, grandi corridoi orlati di piccole aule all’interno delle quali i criteri di salvaguardia non sono sostenibili.

Inoltre, non senza importanza,  resta da sottolineare la diversificazione logistica che a volte raggruppa Istituti scolastici in talune zone,  magari periferie, altre li sparge sul territorio cittadino,  in zone centrali ad alta densità.  In entrambi i casi comunque, la scuola costituisce pericolose agorà dove si dà voce ad una fisicità oggi  putroppo pericolosa.

Ancora, se le scuole fossero riaperte che tipo di didattica sarebbe spendibile? Si dovrebbe forse rinunciare alle pratiche sportive, a frequentare i laboratori, addirittura all’immancabile ricreazione. Per i più piccoli la mensa resterebbe un lontano ricordo! Luoghi e momenti di possibile contagio.

Questioni tutte strutturali che, richiamando alle realtà locali, fanno riflettere sull’opportunità della scelta del Ministero. Per quanto concerne, invece, le motivazioni sovrastrutturali basti pensare all’improbabilità di riuscire a contenere i nostri discenti tratteggiati da sempre da quell’insostenebile leggerezza dell’essere, essere giovani e per ciò stesso saldamente incoscienti.

Quindi in questo momento di emergenza, resta a noi adulti esercitare uno spirito critico, volto in sostanza alla ricostruzione e alla collaborazione. Siamo in un tempo in cui la difficoltà non ha scadenze e impone di virare verso nuove contestualità d’apprendimento.  Perchè non si finisce mai d’imparare.

Per il momento si torna in aula  per l’Esame di Stato.

 

 

 

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