La movida in-competente dei giovani

In tempo di coronovirus sono più popolari le cattive notizie. Lo sappiamo bene tutti, ormai. Lo scenario italiano vive di impulsi informativi alquanto negativi, dettati da una situazione epidemica davvero preoccupante.

Si teme che il sistema sanitario possa vacillare definitivamente di fronte all’incremento dei contagiati dal coronovirus. Nonostante le indicazioni quasi coercitive ci intimino di restare a casa, i nostri giovani sembrano  non accogliere quanto riportato sull’ultimo decreto.

O meglio sembrano non cogliere il cambiamento epocale. Così affollano impunemente  i locali, pedine impazzite della movida del Bel Paese. Beata gioventù?

L’età della spensieratezza diviene un pericoloso focolaio del virus, ma anche di una spaventosa incoscienza, genitrice di comportamenti criminali. Sicchè questa  peggio gioventù si trincera in un’irresponsabilità che è quasi follia, portata avanti  da un’ idea garantista a volte corredata di sfumature di onnipotenza. Eppure i nostri giovani sono gli stessi, quelli che prima di Natale sono scesi in piazza numerosi, animando la lotta sulla scia di Greta per salvaguardare il clima e l’ ambiente. Salvare il pianeta sfiancato dagli abusi umani.

Dunque, quelle piazze possono essere considerate emblema della coscienza critica dei nostri ragazzi ? No, decisamnete no. La totale assenza di una cognizione dei rischi si mostra come il male più diffuso fra molti giovani. E attenzione l’assenza di etica uccide la democrazia. Di chi è la colpa?

Primo imputato: l’ottimismo acritico che sembrava inarrestabile prima di questa epidemia, laddove il male rimaneva comunque un fatto lontano, il futuro ancora da costruire. Benessere da reddito di cittadinanza! Tutto filava bene fino a quando un impasse nel sistema ha ricordato la reale finitezza dell’umanità. Al tempo del coronavirus  viene richiesto di tornare a stare con i piedi per terra, provando a resistere alle asprezze della vita con responsabilità e consapevolezza. Ognuno deve fare il proprio dovere. L’esistenza diviene talvolta resistenza. Diciamolo ai nostri ragazzi, ricordiamo loro che non bisogna mai avere timore di cambiare le proprie abitudini se questo serve a salvare la comunità.

Secondo imputato: l’incapacità di spiegare quanto stia succedendo. Invece di lasciare le menti dei più giovani in balia dei social,  più virali del corona virus, si potrebbe condividere il presente attraverso la lettura di un buon libro. Un testo apre sempre e comunque un nuovo con-testo riflessivo. Invece di lasciar parlare i social  attraverso la moltiplicazione del chiacchiericcio da bar, non sarebbe auspicabile confrontarsi con questa gioventu spaesata?

Terzo imputato: l’utopia di credere in un atteggiamneto naturalmente partecipativo dei giovani. In questo  clima d’ Apocalisse, corredato da una paura atavica della morte, l’unica certezza sembra essere la riscoperta delle competenze. Il pericolo del contagio ci ricorda la fragilità umana, ma rafforza al contempo l’idea che le competenze siano fondamentali per l’agire umano.  Saper fare, sapere e saper essere. Sacrosante quelle del personale sanitario!

Quarto imputato: una scarsa didattica per competenze. Ecco, si è parlato tanto a scuola di competenza, parola scomoda entrata per molti a forza nelle aule finalmente aperte al territorio circostante. Fin dalla scuola primaria conoscenza e competenza dovrebbero entrare in un rapporto dialettico e costruttivo finalizzato a rendere i nostri studenti autonomi e responsabili. Fra le diverse competenze salta alla ribalta quella della cittadinanza attiva facilmente traducibile nel rispetto delle regole, della convivenza, dell’ambiente.  Coscienza civica. Cittadinanza attiva.

Dunque, nei nuovi perimetri che si stanno delineando ai tempi del coronovirus teoria e prassi si ricongiungono per rammentare che ogni comportamento individuale ha un peso rilevante nella società, può inquinare o dare un contributo positivo. Un fare superficiale può contagiare, un atteggiamento inadeguato alla fine aumenta i rischi di contaminazione. Questo andrebbe urlato ai nostri giovani incapaci di ascoltare. Ascoltare significa capire, comprendere che la proliferazione del virus non si polarizza più su false questioni di razza, di colore, di cultura e tantomeno di età.

Le misure di contenimento impattano sulla nostra vita di tutti i giorni, ci rendono emigranti in patria,  fatalmente attraccati in un’ Italia, ghetto d’Europa. Nessuna quarantena, del resto, può minare il buon senso, trama inossidabile del tessuto sociale.

 

 

 

 

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