Vaccini. Una questione nazionale
Non esistono cose, come le scienze applicate, ma solo l’applicazione della scienza (Louis Pasteur)
Nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie è in arrivo un sostanziale cambiamento. Il 26 gennaio 2017, nel corso dell’incontro fra Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute e gli assessori delle Regioni e delle Province, si è giunti alla decisione di rendere obbligatori i vaccini a livello nazionale, con una legge apposita.
Il motivo dell’incontro, avvenuto presso la sede del Ministero della Salute ha riguardato la verifica e l’avvio del nuovo Piano nazionale della prevenzione vaccinale per gli anni 2017-19, inserito nei nuovi Livelli di assistenza sanitaria.
L’obbligatorietà e le sue derive
L’obbligatorietà vaccinale è una misura che risale a mezzo secolo fa, nata per fronteggiare le tante malattie che avevano causato migliaia di morti infantili e, nei casi di sopravvivenza, lasciavano invalidanti segni permanenti.
L’obbligatorietà verso i genitori era stata resa necessaria per contrastare l’emergenza epidemica e per garantire un intervento tempestivo, costante e omogeneo a livello nazionale.
Dal 1967 al 1999, l’ obbligo delle vaccinazioni è stato il requisito sanitario per l’accesso scolastico.
Vaccinazioni obbligatorie e raccomandate
Nel tempo con il progresso della medicina sono stati sviluppati nuovi vaccini che il sistema sanitario ha assimilato e ha distinto in vaccinazioni obbligatorie e raccomandate.
Le vaccinazioni obbligatorie riguardano 4 malattie: poliomielite, difterite, tetano ed epatite B.
Le vaccinazioni raccomandate, comunque a carico dell’assistenza sanitaria statale, fanno parte integrante della strategia nazionale e regionale messa in atto per fronteggiare le malattie infettive prevenibili con la vaccinazione. Tuttavia la differenza fra obbligatorie e raccomandate in 2 liste distinte, ha creato molteplici problemi man mano che la lista di vaccinazioni è aumentata.
Il primo problema è stata la percezione tra gli stessi operatori sanitari che le vaccinazioni obbligatorie fossero le uniche necessarie, considerando le raccomandate di valenza inferiore e pertanto non meritevoli di particolare attenzione.
Una questione annosa e sempre attuale, invece, la nascita dei movimenti antivaccinali che alla luce delle perplessità degli stessi operatori sanitari, hanno sviluppato le loro teorie e argomentazioni. Un movimento che ha raccolto e raccoglie molti proseliti.
Uno status quo aggravato dalle differenze regionali. Da quando la Repubblica Italiana è diventata Stato federale (legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 confermata dal referendum popolare), anche il sistema sanitario ha subito la decentralizzazione e sono le Regioni e le Asl ad avere la responsabilità di garantire il diritto alla prevenzione vaccinale. Una prassi che ha creato notevoli differenze nell’offerta e, quindi, qualità sanitaria, tra le diverse aree del paese.
Perché una legge nazionale
La distinzione tra vaccini obbligatori e raccomandati, le differenze delle pratiche tra Regione e Regione, il calo della dovuta attenzione e le strumentalizzazioni dei movimenti anti-vaccino hanno contribuito dalla disinformazione e alimentato la preoccupazione e i preconcetti dei genitori. Questi ultimi tendono, ormai, a evitarle o ritardarle, provocando un calo nazionale dell’adesione ai vaccini in età pediatrica.
Un calo preoccupante, come rimarcato dal Comitato nazionale di bioetica per il quale è necessario “porre in essere interventi legislativi per ripristinare o raggiungere un livello accettabile di sicurezza sanitaria che si ottiene tramite il mantenimento di elevate coperture vaccinali”.
Con il Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019, introdotto nei nuovi Lea ( Livelli di assistenza sanitaria), si cerca di attenuare la differenza di offerta fra una Regione e l’altra, dato che il sistema sanitario è gestito a livello regionale. Rimane non garantita, la copertura per le vaccinazioni raccomandate.
La decisone di decretare tramite una legge apposita l’obbligatorietà nazionale di tutte le vaccinazioni inserite nel Piano di Prevenzione vaccinale, intende eliminare le discrepanze locali poiché l’accesso ai servizi Lea sia attenuato e si possa garantire ai bambini residenti in tutta Italia l’accesso ai nidi e alle scuole materne.