Cloe Bianco. Libera di morire, ma non di vivere
Quando ci troviamo di fronte ai diritti umani ci chiediamo, forse in modo incompetente, se sia corretto continuare a parlare di donna/uomo trans, di donna e uomo o “semplicemente” di essere umano. Ogni cittadino è portatore di diritti e di doveri, ed è dovere di ogni cittadino rispettare il diritto dell’altro.
Quale reato commette una persona che non si ritrova nel genere assegnatole dalla nascita e – seguendo la sua autentica identità (l’identità è un costrutto multidimensionale che va ben oltre il sesso biologico) – ha la forza, il coraggio, la determinazione di affrontare il mondo con la sua identità, frutto sicuramente di un percorso elaborato e non carente di sofferenza psichica e fisica?
Una squadra di lavoro (un gruppo di lavoro non è una squadra) composta dalla diversità in ogni sua piega (anche la differenza di regione, di colori di capelli, sono elementi di differenziazioni e stanno alla base dell’unicità della persona) è fonte di arricchimento della comunità di pratica (come ogni organizzazione umana); questo arricchimento acquista ancora maggiore valore se ci troviamo all’interno di un istituto scolastico.
Riflessioni generali ma anche particolari, in riferimento al suicidio di Cloe Bianco, insegnante di fisica, allontanata dal servizio di insegnamento per essersi presentata in classe con gli abiti che esprimevano la sua identità, abiti femminili, e, successivamente, assegnata al ruolo di segretaria.
Recentemente Pino Turi, segretario generale Uil Scuola ha dichiarato all’Ansa: “Il Ministero dell’Istruzione è colpevole in quanto è stato complice di quanto accaduto: ha sospeso Cloe Bianco dall’insegnamento, mettendola a lavorare nelle segreterie, non ritenendola più in grado di insegnare e colpendola come fosse una malata sociale. Ora dovrebbe fare una indagine e capire che gli errori si devono ammettere, anche quelli passati, per evitare che la scuola si faccia condizionare dagli stereotipi e che fatti del genere si ripetano”.
L’indagine si è aperta, ma la questione, forse, in questo momento è anche di pratica riflessiva congiunta sia della società civile che della comunità scolastica e istituzionale.
La Pubblica Amministrazione, di cui la scuola fa parte, nella sua funzione amministrativa, in senso oggettivo, tutela gli interessi pubblici e, pertanto indirettamente, i diritti soggettivi delle persone, ragione per cui, in casi di lesione di un diritto soggettivo (ogni cittadino è portare di diritti, il cui esercizio è libero e non condizionato a interventi autorizzatori della PA), il titolare del diritto soggettivo può agire giurisdizionalmente contro la PA, tramite il giudice ordinario.
Nel 2015, Cloe Bianco venne spostata a ruoli di segreteria in diverse scuole. Il padre di un alunno (e qui la comunità civile non è esente da tracce di colpevolezza sociale) scrisse una lettera all’allora assessore della Regione veneto, Elena Donazzan, per evidenziare quanto fosse disdicevole tale comportamento.
Sarebbe d’uopo ricordare, non solo nelle scuole, ma in ogni luogo di aggregazione e influenza sociale, i principi costituzionali contrari a ogni forma di discriminazione, senza considerare quanto con una corretta gestione, per gli e le adolescenti in piena età formativa, accogliere e comprendere la complessità del reale è, forse, uno dei momenti più alti di educazione e crescita personale.
Ora il Ministero ha avviato un procedimento per ricostruire gli elementi dell’accaduto, ma probabilmente (e non lo diciamo per alimentare la sterile corrente dei “se”, ma per non incorrere in situazioni simili nel futuro prossimo), l’intervento ministeriale è necessario prima che una persona si senta abbandonata dal proprio Stato (come non pensare a chi proclama “Prima gli italiani”) e perda ogni speranza in una possibilità di vivere la propria vita secondo il proprio essere.
Se ci sono delle difficoltà “di gestione”, non si può unicamente eliminare la questione. Che si aprano tavoli di confronto in cui ogni persona si senta libera di esprimere la propria identità, coinvolgendo tutti i membri dell’organizzazione.
Rainews ripota che all’epoca il preside della scuola in cui insegnava Cloe Bianco si schierò a fianco della docente, ma le polemiche (e qui ritorna la società civile) furono talmente forti che fu decisa la sospensione per tre giorni dall’insegnamento e, successivamente, lo spostamento all’ufficio della Segreteria. Prima Cloe Bianco insegnava Fisica, nell’Istituto Mattei di San Donà di Piave (Venezia) e poi in altre scuole.
La docente fece ricorso davanti al giudice del lavoro, ma lo perse. Il presidente del Tribunale del lavoro di Venezia pur “senza voler criticare una “legittima scelta identitaria”, sognata da Bianco dall’età di 5 anni”, stabilì che la sospensione di tre giorni inflitta dalla scuola “era stata giusta” perché l’outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, non era stato “responsabile e corretto”. (Fonte: luce nazione).
Dove c’è una società, c’è il diritto, ma spesso il diritto segue e conferma l’evoluzione individuale e collettiva. Il diritto soggettivo (se mai ce ne fosse bisogno) può essere rafforzato da un interesse pubblico diffuso.
Sul suo blog, la prof.ssa Bianco aveva scritto: “Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto”.
Sarebbe stato bello scrivere la storia in cui la docente dichiara apertamente la sua identità, ne parla con il preside, con i suoi colleghi e colleghe e, di comune accordo, il preside entra in classe, insieme alla docente, per parlarne insieme alla classe.
Non sappiamo se Cloe ne avesse discusso prima con i colleghi o con il preside; da quello che abbiamo letto sembra di no. Ma su ciò che ci sentiamo obbligati a riflettere è sul fatto se l’ambiente odierno lo permette, se stiamo costruendo le basi di una società in cui una persona sia libera di non di morire, ma di vivere.
I valori di onestà, rispetto, comprensione e accoglienza reciproche, professionalità, competenze umane e tecniche sono i pilastri, le fondamenta di ogni buon vivere e di ogni condizione lavorativa. E se non lo stiamo facendo, quasi come un imperativo categorico, dobbiamo (sì, perché si tratta di un dovere morale e politico, sebbene sia un valore) a farlo da oggi; ogni minuto è perso. Ogni mano non tesa, è uno spreco di azione e pensiero.
Cloe Bianco è autrice del libro PERsone TRANSgenere. Manifesto e Progetto della dignità e dei diritti delle persone transgenere in Italia” e titolare del blog in cui analizzava i diritti e le discriminazioni delle persone LGBTQ+.
Sul blog personetransgender.com leggiamo: “sul sito dell’iniziativa sociale individuale organizzata PERsone TRANSgenere, Manifesto e Progetto che ha come scopo principe la tutela della dignità e dei diritti delle persone transgenere in Italia. L’autodeterminazione e la depatologizzazione transgenere sono i due pilastri sui quali si basa questo Manifesto e Progetto. Il documento istituzionale di riferimento primario è la risoluzione 2048(2015) del Consiglio d’Europa.
Che la questione dei diritti LGBTQ+ sia, politicamente appannaggio, dei partiti di centro- sinistra, fa sì che un diritto della persona si colori di vernici partitiche determinate, quando i diritti civili e i diritti umani sono senza colore oppure abbracciano tutti i colori, poiché appartengono all’essenza stessa dell’essere umano.
Il decreto Zan, parla a tutti e a tutte, senza partigianeria. Strumentalizzare i diritti umani, sotto la veste partitica, non è un’operazione onesta intellettualmente onesta. Il decreto Zan, non ha colori. I diritti, non hanno colori. Chi evoca lobby lgbtq+ genera e alimenta conflitti inesistenti, inabissando principi costituzionali in senso lato che potrebbero giovare e rafforzare la coesione sociale e il benessere collettivo.
L’alimentazione di pregiudizi, figli di un’alterazione cognitiva ed emozionale, mali e malesseri individuali che tras-migano nella società, contaminandola.
Nella giornata del 17 giugno 2022, studenti di tutta Italia sono scesi in piazza; dal quotidiano oline padova oggi, leggiamo la dichiarazione di Domenico Amico, coordinatore di Studenti Per Udu Padova: “È innegabile la transfobia che pervade la nostra società e soprattutto le nostre istituzioni, per questo era necessario il presidio di oggi. Quello che dobbiamo fare è chiederci cosa stiamo facendo per rendere i luoghi d’istruzione pronti ad accogliere e valorizzare tutti noi, con le nostre differenze.”
Una studentessa dell’Istituto dove insegnava Cloe Bianco, ha dichiarato a Repubblica: “La mia professoressa è stata ammazzata dal pregiudizio di una comunità retrograda. Mi sento inerme dinanzi a questa cattiveria inammissibile […]. Alcuni docenti, addirittura, si sfogavano con noi dicendo che aveva rovinato la reputazione della scuola[…]. Secondo me, sarebbe bastata una circolare in cui ci avvisavano che, da quel giorno, ci saremmo dovuti rivolgere alla docente al femminile. E, magari, per sensibilizzare maggiormente noi alunni, avrebbero potuto prevedere lezioni sull’identità di genere che, spesso, proprio a causa di retaggi culturali, è ancora un argomento tabù“.
Una fotografia dettagliata sulla condizione della popolazione LGBTQ+ ci viene dal dossier dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali.
Interessante l’esempio giuridico spagnolo, che già dal 2016 sono iniziate a nascere leggi sull’Identità ed espressione di genere, a livello delle comunità autonome (la Spagna è composta da 17 comunità autonome) mentre è in discussione di una legge statale al riguardo.
Immagine di copertina e nella pagina, dipinto ‘A Transgender with the Black Fur’, (olio su tela, 2020) tratto dal sito: saatchiart.com