I rischi del divieto della carne coltivata per la tradizione agroalimentare italiana
Giovanni Ballarini, accademico nella Delegazione di Parma dell’Accademia Italiana della Cucina, riguardo alla “libertà del sistema agroalimentare italiano”, intrinseca alla tipicità che ha reso il sistema famoso e apprezzato nel mondo, riflette sul divieto per legge, voluto da questo governo dal 2023, di sperimentare la carne coltivata e su come tale proibizione sia ostile, invece di proteggere, la nostra grande tradizione produttiva e culinaria.
Seguendo la riflessione dell’accademico. attraverso il suo interessante articolo dedicato alla questione (e pubblicato sul sito georgoglili.info), possiamo sostenere che la legge sia una scelta paradossale.
Scrive Ballarini che “quando la nostra specie da migratrice è divenuta stanziale ha sempre incontrato nuove possibilità alimentari e nuovi cibi costruendo nuove cucine e tradizioni in un continuo dialogo tra le eredità tradizionali e le mutevoli offerte e realtà del momento”.
Soffermandosi sulla cucina italiana l’esperto osserva che dalle “più recenti cucine tradizionali italiane è facile costatare come siano una singolare e specifica interpretazione di nuovi alimenti arrivati dalle più lontane parti del globo e come il mais dei tacos americani è divenuto la polenta gialla italiana, la patata andina si è trasformata nel purè italiano e il pomodoro americano ha dato origine alle tradizionali pizze italiane e ai sughi per la pasta. La tradizione è tale se non è una tomba di riti ma se rimane viva e capace di modificarsi e adattarsi incorporando e interpretando quanto offerto dal caso e dalla necessità, secondo il principio enunciato dal greco Democrito di Abdera duemilacinquecento anni fa”.
“La tradizione si mantiene viva evolvendo superando paure e preconcetti come quelli che solo alcuni secoli fa hanno ostacolato l’uso della melanzana accusandola di provocare la pazzia o della patata incolpata di essere demoniaca e portatrice di lebbra”.
L’ excursus di Ballarini (qui riportato in forma assai sintetica) ci fa subito entrare nel vivo del paradosso di cui dicevamo: vietare la ricerca non tutela il patrimonio culinario italiano, bensì lo sottopone al rischio di emarginazione.
“L’Italia vive in un contesto europeo nel quale vige il libero commercio degli alimenti e gli abitanti di ogni stato membro, regione e singolo paese possono usarli secondo la propria tradizione, gusto, estro e anche usare per fare delle innovazioni – scrive l’esperto -. Per questo pare strano se non sconvolgente la scelta del governo italiano sulla proibizione della carne coltivata (per altro non ancora esaminata e quindi autorizzata come Novel Food dalla Unione Europea) scrivere un provvedimento che in Italia “è vietata la carne coltivata al fine di tutelare non solo la salute umana ma anche il patrimonio agroalimentare nazionale”.
“Un provvedimento che mette un veto alla ricerca, si scontra con le eventuali prossime direttive comunitarie e soprattutto va conto l’evoluzione della alimentazione e delle sue tradizioni, meritandosi alcune considerazioni di carattere generale, partendo dalla tema di fondo se anche per gli alimenti esiste la questione del proibizionismo e della libertà alimentare”, conclude Giovanni Ballerini.
Immagine: Giovanni Ballarini, accademico nella Delegazione di Parma dell’Accademia Italiana della Cucina