Il paradosso dell’UE. L’attivista dei diritti perseguitata dalla giustizia
Sono circa 1600 le donne polacche che, soprattutto nell’ultimo semestre, hanno varcato i confini della Polonia per accedere all’interruzione di gravidanza. Con il supporto dell’Associazione Abortion Dream Team si sono recate in Austria, Germania, Belgio, Regno Unito, Francia.
E sono 40 mila le donne che si rivolte all’associazione per aiuti di altro tipo. E sono tante anche le persone che cercano di aiutare le donne ad eludere le restrizioni applicate dalla sentenza della Corte costituzionale del Paese nell’autunno 2020.
Una sentenza insidiosa
Un bando che prevede l’interruzione di gravidanza legale solo in caso di stupro o incesto o quando la salute o la vita della gestante è a rischio, senza tenere conto, per esempio, dei casi di malformazione o malattia incurabile del feto. I medici polacchi hanno recentemente denunciato l’aumento del tasso di mortalità infantile, di nati morti e aborti spontanei, ravvisano le cause nel bando della sentenza della Corte.
Informa Amnesty International che “l’esecuzione del proprio aborto o il possesso di pillole abortive per un aborto autogestito non è un crimine ai sensi della legge polacca, ma qualsiasi persona o medico che aiuti le donne in gravidanza con un aborto al di fuori dei due motivi consentiti dalla legge può affrontare fino a tre anni in prigione”.
E quel che rischia, infatti, Justyna Wydrzyńska, sotto processo in Polonia dopo la denuncia nel novembre 2021, per aver aiutato una donna abusata dal marito ad accedere alla pillola abortiva.
Il paradosso
Justyna Wydrzyńska è una doula – una donna esperta che sostiene un’altra dona durante e dopo la gravidanza – una delle quattro fondatrici di Abortion Dream Team, un collettivo di attivisti che si batte contro lo stigma dell’aborto in Polonia e offre consigli imparziali su come ottenere un aborto sicuro seguendo Linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Abortion Dream Team fa parte della rete europea Abortion Without Borders che fornisce informazioni, consulenza, finanziamenti e supporto pratico alle donne che in Polonia e negli altri Paesi vige una legislazione che impedisce loro l’accesso all’aborto legale e sicuro.
Le accuse rivolte a Justyna Wydrzyńska sono di “favoreggiamento in di aborto” è “detenzione abusiva di medicinali allo scopo di immetterli in commercio”. Se le non verranno ritirate le accuse, come chiede Amnesty International, sarà il primo caso in Europa di un’attivista processata (e, forse, condannata) per aver tutelato i diritti umani.
“Queste accuse sono un tentativo scioccante e deliberato di eliminare il legittimo attivismo di sostenere i diritti delle donne e di tutte le donne incinte ad accedere ad aborti sicuri in Polonia” ha dichiarato Monica Costa Riba, responsabile di Amnesty International e attivista per i diritti delle donne: un attivismo sottolinea essenziale affinché le donne incinte in Polonia non mettono a rischio la loro salute e la loro vita.
Pur essendo provata per il processo in corso l’attivista non ha dubbi. “Lo rifarei -. Nessuno dovrebbe essere perseguito per aver mostrato compassione e aver agito in solidarietà. Non me. Nessuno”.
Ma ogni volta che lo dice la sua situazione giudiziaria si aggrava proprio perché non mostra pentimento. E ogni intervista, l’ultima in Italia concessa a Tonia Mastrobuoni è riportata sul Venerdì di La Repubblica del 9 dicembre 2022, rischia, come già accaduto, di essere assunta come prova delle accuse.
Aborto sì. Anche per i cattolici. Le reazioni istituzionali e dell’opinione pubblica nell’UE e negli Stati Uniti
La Risoluzione 302 del 7 luglio 2022, l’Eurocamera ha chiesto al Consiglio di inserire nella Carta dei diritti Fondamentali dell’UE un nuovo articolo, il 7 bis, che recita “diritto all’aborto: ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale”.
Mentre negli Stati Uniti, dopo il ribaltamento della Corte Suprema della sentenza Roe contro Wave che legalizzava a livello federale l’accesso all’interruzione di gravidanza, il buon risultato dei democratici alle elezioni di Medio termine del novembre scorso, viene letto come il primo referendum ufficiale a favore del ripristino del diritto all’aborto.
Quelli effettivi di referendum si sono svolti in cinque Stati e i cittadini si sono espressi a favore delle misure che garantiscono l’interruzione di gravidanza. Di più hanno fatto in California, Vermont e Michigan hanno approvato che tale diritto sia inserito nelle proprie costituzioni.
Agensir.it recentemente riportava i risultati del sondaggio condotto nel settembre scorso dalla Nbc news secondo il quale il 57% dei cattolici statunitensi “il più grande gruppo religioso degli States con 61 milioni di aderenti”, è favorevole all’aborto.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità “l’aborto non sicuro è una delle cause principali, ma prevenibili, di morte e morbilità materne. Può portare a complicazioni di salute fisica e mentale e oneri sociali e finanziari per le donne, le comunità e i sistemi sanitari”.
Immagini: 1) l’attivista polacca per i diritti delle donne, Justyna Wydrzyńska (photo by Amnesty International) 2) New York, manifestazione a favore dell’aborto (photo by Lerone Pieters – pexels.com)