Il Comitato di Bioetica vieta ai medici l’accanimento terapeutico sui bambini incurabili

Il Comitato nazionale di Bioetica raccomanda ai medici di non sottoporre i bambini con malattie incurabili all’accanimento terapeutico.  Si devono evitare cure inutili quanto dolorose che altro non fanno che aumentare la sofferenza dei piccoli. I bambini non devono essere intubati “solo per accondiscendere alle richieste dei genitori”, per quando questi ultimi siano disperati e, comprensibilmente, non riescono ad accettare l’ineluttabilità della malattia del figlio.  Il Comitato si esprime in nome dei piccoli che non possono scegliere le cure né difendersi dal dolore dei genitori o dalla paura dei medici che a volte intubano i bambini per evitare l’eventuale futura accusa dei parenti di non aver fatto tutto il possibile per salvarli.

Nel parere del Comitato si legge che “nei confronti di bambini piccoli con limitate aspettative di vita vanno evitati “l’accanimento” e “percorsi clinici inefficaci e sproporzionati” che provocano “ulteriori sofferenze e un prolungamento precario e penoso della vita senza ulteriori benefici”.

“Per quanto riguarda i bambini piccoli – specifica il Comitato –  va riconosciuto che nella prassi l’accanimento clinico è spesso praticato quasi istintivamente,  anche su richiesta dei genitori, perché si è portati a fare tutto il possibile per preservare la loro vita, senza considerare gli effetti negativi che ciò può avere sull’esistenza del bambino in termini di risultati e di ulteriori sofferenze. Altre volte, invece, l’accanimento clinico è praticato in modo consapevole, come difesa da possibili accuse di omissione di soccorso o d’interruzione attiva delle cure o dei trattamenti di sostegno. Così queste pratiche cliniche sono prestate principalmente non per assicurare la salute e il bene del paziente, ma come forma di tutela e di garanzia delle proprie responsabilità medico-legali relative all’attività svolta”.

Ecco quindi la necessità di raccomandare che “iI superiore interesse del bambino sia il criterio ispiratore nella situazione e deve essere definito a partire dalla condizione clinica, unitamente alla considerazione del dolore e della sofferenza e del rispetto della sua dignità, escludendo ogni valutazione in termini di costi economici. Si deve evitare che i medici s’immettano in percorsi clinici inefficaci e sproporzionati solo per accondiscendere alle richieste dei genitori e/o per rispondere a criteri di medicina difensiva”.

Secondo il Comitato,  previa legge nazionale,  si devono creare e rendere operativi i comitati per l’etica clinica. A tali comitati – di costituzione interdisciplinare, composti da personale medico pediatrico, bioeticisti e biogiuristi – spetterebbe il ruolo consultivo e formativo, in modo da agevolare la valutazione delle decisioni da prendere in situazioni così dolorosamente  complesse, per essere mediatori nelle eventuali controversie tra medici e genitori e, uniti a un ulteriore nucleo di professionisti, essere di sostegno  ai genitori  anche per evitare che, di fronte al diniego dei medici di proseguire le cure,  si rivolgano a ciarlatani. “Troppo forte – scrive, infatti, il Comitato – il rischio davanti a casi disperati di rivolgersi a chiunque, a stregoni, pur di avere il briciolo di speranza che la scienza nega”.

Nei casi estremi di disaccordo tra medici e genitori il Comitato chiede di prevedere il ricorso ai giudici.

Certo il “divieto di ostinazione irragionevole dei trattamenti” non deve trasformarsi “nell’abbandono del bambino” che, invece, ha diritto “alle cure palliative” ospedaliere e/o domiciliari, che devono essere garantite a tutti”,  in tutto il territorio nazionale, afferma il Comitato sottolineando   la mancanza di omogeneità nel Paese, posto che “in molte regioni non ci sono nonostante la legge del 2010” che è una buona legge.

Ma per ultima, ma  di certo non ultima, la raccomandazione del Comitato di potenziare la ricerca sul dolore e sulla sofferenza nei bambini ed evitare, ancora di più nei bambini con prognosi mortale a breve termine, che il piccolo sia considerato dai medici un soggetto idoneo alle sperimentazioni e alla ricerca.

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