Tra pochi anni l’aumento della temperatura riuscirà a sciogliere la plastica

Lo smaltimento della plastica, unito al riscaldamento del clima, è diventato il principale problema ambientale. Non era difficile da prevedere, considerando la proverbiale e, ormai, arcinota longevità che porta la plastica a sopravvivere per centinaia di anni e per l’uso smodato (ne è un esempio il Pacific Trash Vortex) che se ne è fatto e se ne fa.

Ma un certo ottimismo riguardo alla sua eliminazione serpeggiava dall’introduzione dell’industria del riciclo, alimentata dallo sforzo del consapevole singolo cittadino che rispetta i principi dei rifiuti differenziati, sostituisce la plastica – quando può – con materiali alternativi e sostenibili per l’ambiente e/o ne combatte l’uso con creatività, partecipando a iniziative come Run Eco Team, puliamo il mondo facendo jogging. E poi le conferenze, le mobilitazioni internazionali, gli investimenti privati e pubblici a favore della salute degli oceani che si susseguono quasi quotidianamente.

Invece la ricerca condotta dalla piattaforma di marketing Grand View Research, ci getta nello sconforto, informandoci (tramite El Pais) che la plastica continuerà a essere protagonista dell’economia moderna. Nel vicinissimo 2020, infatti, anche per via delle economie emergenti, la plastica utilizzata nei vari settori prodottivi, muoverà denaro  per 560 miliardi di euro, a fronte di un fatturato del settore delle bioplastiche  che raggiungerà nel 2024 la cifra di appena 43 miliardi di euro.

La sproporzione tra i 2 fatturati non richiede ulteriori commenti.  Da rimarcare, invece che  oltre la metà di quei 560 miliardi di euro sarà raggiunta dall’industria dei contenitori di plastica.  Nel 2015 sono state prodotte 322 milioni di tonnellate di plastica.   Soltanto il settore della bibite usa più di 500mila milioni di bottiglie all’anno e secondo la britannica Jupiter AM, il 95% di tali recipienti è monouso.  Ogni anno vengono sversati nei mari milioni di tonnellate di plastica equivalenti a un camion di immondizia al minuto, un ritmo, secondo gli esperti destinato ad aumentare.

Dunque non sarà il riciclo e la corretta gestione dei rifiuti a liberarci e a salvare l’ambiente  dalla plastica. Dopo 40 anni dal lancio del primo simbolo universale di riciclo, nel mondo soltanto il 14% dei contenitori di plastica  tornano a nuova vita, contro il 58% del riuso della carta, il 70% del ferro e ben il 90% dell’acciaio.  E nel futuro le cose non andranno meglio. L’Associazione dell’UE Zero Waste Europe prevede, infatti, che anche con la tecnologia di riciclo più avanzata si arriverà a trattare soltanto il 53% dei rifiuti.  Riciclare la plastica è difficile, fin dal rifiuto differenziato, perché non tutti i polimeri che la compongono sono maneggevoli allo stesso modo, perché molti prodotti sono una combinazione tra metallo e plastica o carta e plastica, e separare i materiali è molto difficile se non pressoché impossibile.  Il riciclo della plastica richiede  processi lunghi e altamente  costosi.

Il problema non si risolve a valle ma a monte. Sembra l’uovo di Colombo,  ma soltanto  coinvolgendo tutti i settori produttivi, dalle multinazionali alle aziende minori soprattutto del ramo drink and foot, affinché cessino di usare  i contenitori di plastica,  sostituiendoli con quelli   compostabili, si risolverà il problema.  Allora ecco che le britanniche Ellen MacArthur Foundation e Wrarp, entrambe leader nel settore dell’economia circolare, stringono con le grandi multinazionali, Unilever, Procter & Gamble e Coca-Cola, il cosiddetto ‘accordo di plastica’, con il quale le grandi produttrici s’impegnano a compiere scelte aziendali compatibili con l’economia circolare.

Il colosso svedese Ikea,  produttore  e rivenditore di arredamento,  si pone l’obiettivo di sostituire entro il 2030 tutta la sua produzione, incluso gli imballaggi, con materiali rinnovabili.  E MacDonalds,  monstre del fast food, sta per avviarsi sulla stessa strada.

Il 2030, d’altronde, almeno per il Vecchio Continente dovrebbe essere una data fatidica:  l’Unione Europea, infatti,  con il documento La strategia della plastica, pubblicato nel gennaio 2018, ha stabilito che entro tale data, ogni Stato membro dovrà rendere riciclabili o riutilizzabili tutti gli imballaggi di plastica presenti sul mercato; entro il 2025 si dovrà raccogliere  il 90% delle bottiglie per bevande monouso; vietati i cotton fioc, posate, piatti, e cannucce in plastica, ammessi soltanto se prodotti con materiali sostenibili;  i produttori dovranno contribuire alla copertura dei costi di pulizia e della gestione dei rifiuti.   E poichè come ogni trasformazione subentra l’innovazione, l’UE si propone di gettare le basi affinchè il Continente si ponga all’avanguardia della “nuova plastica” facendone un’occasione di investimenti e di creazione di posti di lavoro.

Se ci guardiamo intorno oggi ci sembra un traguardo arduo da raggiungere. Ma se ogni attore in causa, ma in primis i primi attori – imprese e amministrzioni centrali e urbane –  si assume la propria parte di responsabilità e supera il miope sguardo del ritorno economico opportunistico o immediato,  e indossa gli occhiali per vedere oltre l’orizzonte e acquisire il senso del bene comune, niente, ancora, è impossibile. Ma di certo la rigenerazione partirà da lì; di certo il singolo cittadino per quanto responsabile, volenteroso e sensibile con le sue sole forze non ce la può fare. Molte città italiane lo dimostrano. A cosa serve l’attenta distribuzione dei rifiuti casalinghi, se puoi la raccolta dei rifiuti non è puntuale e rispettosa delle regole?

Oppure non ci resta che lasciar perdere e tutto si risolverà da sè.  Come scrive l’arguto vignettista e disegnatore  Massimo Bucchi: “Tra pochi anni l’aumento della temperatura riuscirà a scioglere la plastica”. Non prima, naturalmente di aver sciolto noi umani, che non siamo resistenti e longevi quanto la plastica.

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