Il giorno del ricordo. Memorie condivise per un dialogo europeo

Per un attimo la vista mi traballò davanti a un’immagine che si ricomponeva identica dopo tanti anni.
Mi porse la chiave, mi pregò di salutare Palmira e l’Antonio portandosi furbescamente l’indice alle
labbra e strizzando l’occhio. […] Se ne andava con la propria cartella di studente, il passo da
montanaro, in cerca di un altro messaggio lasciato su una pietra da un lontano confratello fuggiasco.

(da Materada di Fulvio Tomizza)

Il 10 febbraio si celebra in Italia Il Giorno del ricordo, per commemorare la tragedia delle vittime delle foibe nel secondo dopoguerra, dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle loro regioni fino a quel momento considerate italiane.

La giornata è stata istituita a seguito della legge n. 92 del 30 marzo 2004 “Istituzione del ‘Giorno del ricordo’ in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati“, conosciuta come legge Menia dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che la propose.

Il comma 2, art. 1 della legge recita: “Nella giornata sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende.

Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero“.

Con l’avvicinarsi del Giorno del Ricordo, dal 2004 , ogni anno iniziative ed eventi legati a questi tragici eventi si diffondono con sempre  maggior capillarità; una memoria condivisa per le giovani generazioni e per quelle meno giovani.

Tra i molteplici progetti che hanno popolato il Giorno del Ricordo, vi presentiamo, la conferenza  Il giorno del Ricordo – L’importanza della storia e della memoria del confine orientatale per un costruire un dialogo culturale europeoche si è svolta presso il liceo Aristotele di Roma, ex convitto femminile del Quartiere Giuliano-Dalmata, testimonianza viva dell’esodo degli italiani dalle loro terre.

Passato e presente per edificare insieme la “nostra Europa” in un’ottica di collaborazione e non di antagonismo.

Il convegno presieduto dalla prof.ssa Maria Ballarin del liceo Aristotele  è stato articolato nel seguente modo: saluti di Marino Micich (direttore Archivio Museo Storico di Fiume), di Antonio Ballarin, Presidente della FederEsuli e di Donatella Schürzel (presidente Comitato provinciale ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia)di Roma e vice presidente nazionale; interventi di Umberto Gentiloni (Università La Sapienza Roma); Giovanni Stelli (Presidente Società di Studi Fiumani); Damir Grubiša (già ambasciatore della Repubblica di Croazia e docente dell’AmericanUniversity of Rome).

Gocce di storia: le foibe e l’esodo

Afferma Dino Messina nel sul libro Italiani due volte: “Sono italiani due volte i trecentomila che in un lungo esodo durato oltre vent’anni dopo la Seconda guerra mondiale lasciarono l’Istria, Fiume e Zara. Erano nati italiani e scelsero di rimanere tali quando il trattato di pace del 10 febbraio 1947, firmato a Parigi, assegnò quelle regioni alla Jugoslavia comunista del maresciallo Tito”.

Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Al termine della conferenza di Parigi l’Italia rinunciò definitivamente a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.

I massacri delle foibe (cavità carsiche dove venivano gettati i corpi delle vittime) contro le popolazioni italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia, avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945) da parte dei partigiani jugoslavi. e della polizia jugoslava OZNA (Dipartimento per la protezione del popolo), che faceva parte dei servizi segreti militari jugoslavi.

Dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia, iniziò la prima forma di rappresaglia dei partigiani jugoslavi di Tito contro i fascisti che, durante la loro amministrazione, avevano imposto un’italianizzazione forzata, reprimendo le popolazioni slave locali.

Successivamente la repressione fu estesa a tutti gli italiani non comunisti, considerati nemici del popolo. Verso la fine della guerra, nel 1945, Trieste, Pola e i centri dell’Istria occidentale, Fiume e Zara, da province irredente divennero terre di conquista jugoslava e migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare le loro terra.

Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila.Alla luce del trattato di Pace di Parigi , inoltre seguì il diritto di confisca tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero stati indennizzati dal governo italiano, cosa che non si verificò.

Le condizioni all’indomani della firma del Trattato rimasero vaghe e fu proprio da allora che iniziò il lento e più grande esodo di italiani in Italia, che si trasferì in Italia o all’estero, passando per i campi profughi. Esuli italiani, improvvisamente stranieri, a casa loro, costretti a diventare “profughi” nel loro paese, l’Italia; un autentico paradosso storico, geopolitico, e culturale.

Saluti della conferenza

Nomi dal sapore italo-slavo che ci raccontano la nostra storia. Un desiderio di divulgare non solo gli eventi tragici, ma la valorizzazione e la tutela della cultura italiana giuliano-dalmata come arricchimento della cultura italiana.

Attestazione di come nel passato, in partciolare tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento, i popoli slavi, italiani, ungheresi, tedeschi mostravano una pacifica convivenza nei territori di confine.

Un esempio e un prototipo di convivenza tra le diversità, antesignano del motto odierno dell’Unione europea: “Uniti nella diversità”. Vediamo, infatti, come ogni intervento del convegno sia legato al filo rosso della memoria, come “strumento” di ricordo, ma anche come volano di rafforzamento socio-culturale e politico tra i popoli, in una dimensione di collaborazione e non di antagonismo o di sopraffazione.

I saluti che precedono gli interventi della conferenza, attestano la forza di volontà e di coraggio che la comunità giuliano-dalmata ha messo in campo nell’affrontare l’esodo e la ricostruzione.  Marino Micich, figlio di esuli dalmati e dirigente dell’associazionismo dell’esodo, testimonia come la storia degli esuli in patria, sia una storia europea; Antonio Ballarin,evidenzia come il giorno del ricordo  sia vessillo del rispetto di una società per chi la pensa diversamente, congiuntamente al senso della memoria, ricordando i suoi anni scolastici nel quartiere giuliano-dalamato a Roma, il suo essere “diverso” gestito, oseremo dire, da accanimento educativo contro ogni espressione di diversità; Donatella Schürzeldedita alla tutela e valorizzazione della cultura italiana giuliano-dalmata, ci ricorda con razionale passione gli eventi  e gli scambi culturali, “messi in atto”, come per esempio i progetti  socio-formativi con i licei di Fiume e Rovigno.

Le testimonianze sono intrise dal senso di straniamento che vivevano gli abitanti del quartiere  giuliano-dalmata di Roma, rispetto al tessuto socio-urbano e culturale della capitale, corroborato dalla forza di edificazione del patrimonio storico-culturale della tradizione giuliano-dalmata, parte del patrimonio italiano.

L’aula è gremita di ragazzi; le immagini dei profughi e alcuni pannelli appartenenti alla mostra sulla storia del quartiere giuliano-dalmata allestita da Giorgio Marsan, docente del liceo e presidente dell’Associazione Gentes, ci permettono di andare indietro nel tempo con un occhio sempre vigile alla contemporaneità.

Interventi 

Umberto Gentiloni, professore di Storia Contemporanea, Sapienza Università di Roma, inizia il suo intervento ricordando come sia sostanziale soffermarci sugli edifici, le targhe, i monumenti, “piccole lampadine” che si accendono, spunti per iniziare a comprendere chi siamo. Un incontro tra la grande storia e le biografia delle persone.

“Con gli anniversari, croce e delizia degli storici, si corre il rischio di ricordare un evento solo il giorno della celebrazione, quando invece il calendario civile dovrebbe rappresentare il motore propulsore della costruzione di una memoria continua “- evidenzia Gentiloni. Lo studio della storia comporta un notevole sforzo di comprensione, di approfondimento, di interpretazione.

Per esempio, una firma, un trattato sono occasioni cruciali di approfondimento, che offrono la possibilità di mettere insieme gli elementi così da trasformarsi in un sostanziale pezzo del nostro percorso formativo.

Perché è importante parlare dei confini di Fiume? L’Europa è il luogo migliore dove memorie diverse possono convivere, partendo da conoscenze comuni; l’Europa ha permesso ai paesi di dialogare, con le loro lingue, tradizioni, culture diverse; in poche ore di treno si percorrono confini diversi. L’Europa è la storia delle diversità, ricordare l’esodo delle popolazioni italiane, delle foibe è un gesto di verità e un’opportunità per lavorare insieme.

Giovanni Stelli  (presidente Società di Studi Fiumani). Il tema del suo intervento è il ritorno culturale. L’esodo degli italiani dell’Adriatico orientale rappresenta un evento senza precedenti, territori che per secoli hanno subito diverse dominazioni, attestano come l’identità linguistico-culturale non sempre coincide con l’identità politica.

Un esodo provocato da un regime totalitario, di cui si è potuto parlare liberamente solo con la caduta del muro di Berlino. Da allora si è cercato di ricostruire i segni della presenza italiana (nomi, vie….), un autentico bisogno di collaborare con la minoranza italiana rimasta e con la maggioranza croata (Fiume) e slovena (parte dell’Istria), avviando così un processo di riconciliazione con la Croazia e la Slovenia.

Gli stessi cognomi dei profughi e degli abitanti delle città istriano-venete-dalmate ci parlano dei fenomeni di acculturazione, di contaminazione culturale, ci raccontano la storia. Ricorda come insieme a Marino Micich abbiano avviato interventi significativi in territorio slavo, come il ripristino della toponomastica italiana a Fiume, la riesumazione di vittime, prive di processo, celebrate con cerimonia religiosa in Croazia e poi portati i resti in Italia.

Stelli si sofferma su come la memoria abbia un significato negativo e positivo al tempo stesso: negativo, come il rancore proteso a fare i conti con i discendenti che non hanno colpa, e  positivo, come atto di pietà e di riparazione per le vittime. Una delle più forti forme di violenza è l’oblio, cita Albert Camus- 2le vittime danno fastidio, così le eliminiamo” e il Vangelo -“gli oppositori di Gesù, sono come costruttori che lo hanno scartato, non riconoscendolo come la pietra fondamentale dell’edificio che Dio voleva costruire”.

Ulteriore valenza positiva è il guardare avanti, costruire l’Europa delle diversità, non come spazio omologante ma come spazio di recupero della diversità linguistica, culturale, artistica.

Damir Grubiša (già ambasciatore della Repubblica di Croazia e docente dell’American University of Rome).

Grubisa rappresenta, come egli stesso si definisce: “un ibrido, come le macchine”, di etnia croata (padre) e italiana (madre). Profugo con la madre a Vicenza, abita per 3 mesi in un casermone allestito per i profughi, che vivevano in celle, separate solo da coperte militari. Poi,  la madre, delusa dalle promesse inevase del governo italiano, torna in Croazia dal padre che, finito in carcere, era stato liberato.

Ci  descrive il cammino delle riconciliazione tra Italia e Slovenia (ricorda il concerto di 9 anni fa, alla presenza di 5.00′ persone in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste come gesto di amicizia ritrovata tra Italia, Croazia e Slovenia), un percorso in itinere, simbolo della potenza del dialogo e del confronto culturale.

Il Giorno del Ricordo ha una doppia valenza, una ricordanza per l’epurazione etnica (pulizia etnica) ma anche di classe (la maggior parte degli italiani apparteneva alla borghesia e viveva nelle città), nemici naturali del proletariato, oltre a esser simulacro della colpa collettiva, durante l’epoca fascista, periodo in cui gli slavi furono sottoposti a una forte politica di denazionalizzazione.

Un’ atmosfera ostile che si riversò in abusi e vendette anche da parte della polizia iugoslava OZVA, che di notte portava via le persone e non se ne sapeva più nulla. La convivenza delle memorie rafforza il rispetto reciproco.

Drubisa accenna all’Euroregione Adriatico Ionica, a livello europeo e alla prossima capitale europea che sarà proprio Fiume con il suo slogan ‘Fiume, il porto delle diversità’. Attualmente si è ripristinato il bilinguismo e l’identità italiana a Fiume, dove  il Dramma italiano di Fiume, compagnia di prosa di lingua italiana, all’interno del teatro nazionale croato Ivan Zajc di Fiume, si fa voce della cultura italiana.

Siamo tutti una specie di gulash, commenta con ironica sincerità. “Quando mi confronto con il nazionalismo croato mi sento italiano e quando mi confronto con il nazionalismo italiano mi sento croato” In prospettiva si spera nel superamento dei confini alla luce di un’identità multipla. Rousseau diceva: “L’uomo ha creato i confini e poi i confini hanno formato l’uomo”.

Quale più profonda e trasparente prova di antinazionalismo e amore per i popoli?

Nota a latere, Grubisa, studioso della letteratura itailana, ha curato la versione croata di  Il Principe di Machiavelli.

Per approfondimenti

Storia di Fiume di Giovanni Stelli
Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta della storia italiana di Dino Messina
Una grande tragedia dimenticata, di Giuseppina Mellace
Fulvio Tomizza: la poetica istriana
Rijeka-Fiume: la città capitale della cultura e il teatro italiano
Associazione Venezia Giulia e Dalmazia

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Una risposta

  1. Pia Lesnik ha detto:

    Lungua è importante: durante l’occupazione fasista (Slovenia) i nomi slavi furono italianizzati, il regime fascista proibì la lingua slovena in pubblico (anche i bambini venivano puniti se parla anol’unica lingua che conoscevano- lo sloveno, in chiesa,..). Si, la violenza e la repressione politica si riflette anche nella lingua. Gli italiani rimasti in Yugoslavia sono riusciti ad avere il diritto di usare la lingua italiana nelle scuole, nei propri media, negli uffici pubblici …

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