Cosa brucia nell’alambicco del mondo

Vero e falso appartengono alla scienza ma quando si tratta di vita, l’opposizione fra il vero e falso non può che nascondere una nuova opposizione e ancora un’altra. La stessa che si dichiara tra la parola che ama e che vuole lo scambio e quella che non ama, fra il moi che si rinchiude su di sé e l’io che cerca di aprirsi allo sguardo altrui  (Y.Bonnefoy- Discorso tenuto il 23 settembre 2001)

PARIGI – Due ragazzi. Giovanissimi, morti. Lei, di schiena, mentre cercava di sfuggire alla follia omicida. Lui, il folle omicida. Lei, Valeria Solesin. Lui, Omar Ismail Mostefai. Erano entrambi al Bataclan. Lui da un lato, lei dall’altro del mitra. I loro destini si sono incrociati in quella notte assurda e terribile, quel 13 novembre 2015.

DESTINI INCROCIATI – O forse no. Forse, i fili dei loro destini si erano intrecciati prima. Magari proprio mentre lei da brillante cervello italiano in fuga si iscriveva alla Sorbona, o entrava nelle fila di Emergency; e, intanto, lui si barcamenava come giovane in un quartiere difficile.

“Un criminale di poco conto”, così era conosciuto Omar alla polizia, una specie di “delinquentello”, un ragazzotto un po’ discolo, come ce ne sono a frotte nelle periferie e nelle zone difficili di tutte le città del mondo. Un ragazzo, principalmente. Perché quel maledetto 13 novembre, in quella maledetta sala concerti, si sono incrociati soprattutto i destini di tanta gente giovane.

LA PAURA DELLA PAURA – Giovane, giovanissima. Come Jennifer, una studentessa d’italiano di un liceo parigino contattata nei giorni immediatamente successivi all’attacco al Bataclan,  dai conduttori di Caterpillar, programma radiofonico su Radio2: “Dobbiamo svuotarci di tutto, dobbiamo parlare di quello che è successo perché non possiamo rimanere fermi 100 anni, dobbiamo andare avanti”.

Jennifer, una ragazza che ha paura dell’immobilismo della paura. Una paura che ci riporta dentro al Bataclan. Sul grilletto di Omar, sulla pallottola che si conficca nella schiena di Valeria. Omar, per inciso, si è fatto esplodere. Il suo corpo era talmente divelto che lo hanno riconosciuto da un brandello di polpastrello. Le sue impronte digitali erano negli archivi, e quel pezzo di dito ha raccontato chi avesse premuto quel grilletto. Ma cosa ci faceva là dentro Omar, quel ragazzotto un po’ discolo che stava per compiere 30 anni?

15-12-12 bataclanALAMBICCO (Paura, Ignoranza, Odio) – Un disegno divenuto celebre su Facebook nelle ore immediatamente successive alla tragedia, raffigura un alambicco come quelli che si usano per distillare la grappa. Nell’alambicco c’è un liquido verde, ovvero – nelle intenzioni del disegnatore – l’ignoranza.

Sotto, accesa, brucia la fiamma della paura. In fondo al beccuccio dell’alambicco si distilla a piane gocce il liquido velenoso dell’odio. Per completezza potremmo miscelare il liquido dell’ignoranza con altri veleni usati come altrettanti combustibili, come la miseria, l’antipolitica, il populismo. Potremmo continuare a completare accendendo accanto alla fiamma della paura anche quella ancor più bruciante delle ingiustizie. Ma poco conta.

AFFAMATI DI IDENTITÀ – Quel che conta è che il 13 novembre 2015, a Parigi, noi esseri umani ci siamo dimostrati per l’ennesima volta affamati di identità. Come ha detto a Silvia Vessella, de “La Stampa”, la psicoanalista francese Elisabeth Roudinesco, in un’intervista uscita a pochi giorni dall’attentato: “L’Islam fanatico offre una facile identità a ragazzi fragili, prima o seconda generazione di immigrati o francesi convertiti, poco importa. Sono i sintomi di un male che rischia di far riemergere tutti i peggiori demoni francesi”. Non solo: sono demoni occidentali. Anzi, mondiali. Perché umani. Per questo abbiamo forse così tanto terrore di quello che è successo a Parigi: perché abbiamo paura di quello che potrebbe farci scoprire dentro di noi.

I TRENTENNI E IL BATACLAN – Forse abbiamo tutti davvero perso tutto, a Parigi. Tutte le nostre certezze moderne. Il nostro presente. Perché: la generazione dei trentenni si è cibata più di qualsiasi altra di reti sociali, di abbondanza di contenuti, di informazione, di sommersione mediatica, di web 2.0, di multiculturalismo, se ne è cibata e si è alzata da tavola affamata di identità.

Ecco gli sfondamenti elettorali di movimenti estremi e totalizzanti. Ecco la recrudescenza della violenza. Ecco il bisogno di indire un Giubileo straordinario sulla Misericordia, come se la Chiesa di Papa Francesco volesse in qualche modo ricordarcene l’esistenza, della misericordia, in quel mentre che ne richiede l’uso e ne diffonde la parola. E allora: cosa mettiamo adesso nel piatto per digerire questo mondo?

DA QUALSIASI LATO – Forse, dovremmo riuscire a cancellare quel disegno. Spegnere le fiammelle, spegnere la paura e assopire le ingiustizie. Ribaltare l’alambicco, fidandoci del nostro essere umani e disperdendo il veleno dell’ignoranza con l’antidoto della conoscenza e della curiosità.

E poi dovremmo cominciare a piangere onestamente tutte le vittime. Da qualsiasi lato del mitra.  Abbiamo  tutti paura di quello che potrebbe annidarsi dentro di noi.

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