Brexit. Passo indietro sulla “schedatura” degli stranieri

Prima li schedano, poi ci ripensano: la guerra sulla pelle dei lavoratori stranieri (soprattutto europei) nel Regno Unito si fa – nelle più alte sfere del governo di Londra – anche a colpi di marketing alla rovescia, salvo poi far marcia indietro (per quanto tempo?).

LA PROPOSTA – Il 4 ottobre 2016, durante l’annuale congresso del partito conservatore, Amber Rudd, ministro degli interni inglese, è intervenuta sul tema della massiccia presenza di lavoratori stranieri nel Reame di Sua Maestà con un autentico colpo di clava: la proposta di obbligare le aziende inglesi a pubblicare una lista dei lavoratori stranieri presenti nel proprio organico, in modo da rendere pubblici il numero e la percentuale di forza lavoro non inglese presente nelle proprie fila.

Amber Rudd

Amber Rudd

MERCE DI SCAMBIO” – Quella della Rudd non era una proposta shock in “politichese” (impacchettata per l’occasione, pronta per essere spacchettata all’evenienza), anzi, fa parte di un vero e proprio progetto e processo politico di braccio di ferro con Bruxelles che Londra vuol vincere a tutti i costi. La gestione della Brexit da parte del nuovo governo inglese guidato da Theresa May sta in queste settimane passando infatti anche e soprattutto sulla pelle dei cittadini europei che lavorano in Inghilterra (sono 3 milioni, di cui mezzo milione di italiani) il cui destino pesa e peserà non poco sui presenti e futuri trattati di divorzio tra Londra e l’Unione Europea.

Così, mentre uno dei “ministri per Brexit” dell’esecutivo May, Liam Fox, non si faceva grossi scrupoli nell’affermare pubblicamente che quei 3 milioni di cittadini europei saranno una “merce di scambio importante” durante le trattative, arrivava – raccontavamo – la proposta della Rudd.

In pratica l’idea era quella – come dicevamo – di obbligare le aziende inglesi a pubblicare la composizione della propria forza lavoro, seguendo una sorta di autarchico marketing alla rovescia: “Se ti obbligo a dire agli inglesi quanti inglesi hai tra i tuoi dipendenti, ti incentivo ad assumere più inglesi”. Proposta che la Rudd ha intavolato – dicevamo – nell’ambito di un più complesso e completo piano per “ridurre i livelli di immigrazione nel Paese”, livelli di immigrazione che sarebbero – nel piano politico complessivo del governo inglese nato e partorito dalla Brexit – il motivo principale per il quale gli inglesi avrebbero democraticamente deciso di uscire dall’Unione europea.

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TILT – La proposta, come dicevamo, ha suscitato fin da subito un polverone di polemiche. Un polverone i cui granelli di pulviscolo erano principalmente di due tipi: uno ideologico, sbandierato da laburisti e sindacalisti, che inorridivano moralmente all’idea di veder stilare liste di coscrizione; l’altro più pratico, affermato da larghe fette e falde del sistema economico britannico secondo le quali l’assenza di lavoratori stranieri avrebbe semplicemente mandato in tilt l’economia del regno.

LA MARCIA INDIETRO – Da qui, le prime immediate marce indietro. Con Amber Rudd che si è affrettata a dire – il 5 ottobre 2016, il giorno dopo averla formulata – che la proposta “c’è, ma dobbiamo ancora discuterla”. Per poi, il 9 ottobre, vedersela sotterrare definitivamente dalle parole della ministra all’istruzione Justine Greening che l’ha pubblicamente derubricata ad una possibile comunicazione confidenziale (e quindi destinata a rimaner segreta) tra imprese e Stato del numero e delle mansioni dei cittadini stranieri per meglio comprendere quali lacune possa avere il sistema formativo britannico. Una statistica, quindi, al posto di una lista di prescrizione pubblica. Tutt’altra cosa.

Il palloncino della lotta contro al lavoratore straniero in uno dei cuori dell’Europa invece di esplodere – stavolta – si è sgonfiato. Ma è molto probabile che stia per rigonfiarsi con modalità che saranno differenti, ma con finalità che rimarranno le stesse. Confermando l’assurdo pratico assunto di quanto l’esaltazione delle differenze sia un gioco che, nella Storia, si è sempre dimostrato molto pericoloso.

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