La montagna degli italiani saluta Ugo Angelino

spedizione-1954Non tutte le notizie fanno clamore. Sì, ci sono notizie, stampate sui giornali, che passano sotto silenzio. I lettori danno poca importanza ad un nome che i più non ricordano, e che solo coloro che in prima persona hanno vissuto l’avvenimento legato a quel nome e cognome, si soffermano a leggere. La notizia è triste: “È morto giorni fa, Ugo Angelino, l’ultimo italiano reduce della spedizione sul K2 nel 1954. Definita “la montagna degli italiani.”

Fu l’organizzatore della parte logistica dell’impresa su ordine di Ardito Desio, ed essendo un Accademico del Cai era la persona più qualificata in quel settore.

Ma chi lo ha conosciuto non poteva che riconoscergli una grande serietà umana e professionale tanto che, pur tirato per la giacca, seppe sempre proteggere i colleghi di quell’impresa, non alimentando con parole e giudizi, le polemiche sorte tra Compagnoni, Lacedelli e Bonatti e restando con tutti tre molto amico.

In quando rappresentante di commercio la mia famiglia ebbe l’occasione di incontrarlo quando assieme ad Achille Compagnoni, si recò in quel di Sestri Levante a trovare ed a raccontare le impressioni riportate sul Karakorum, ad un comune amico: Italo Muzio, chiamato l’alpinista del mare. Il sestrese infatti era innamorato della montagna ed appena poteva raggiungeva il suo Cervino. La montagna più affascinante d’Europa, ove aveva scalato con Luigi Carrel e Don Luigi Naquinaz la cresta Sud Est della Dufour in 2a direttissima, con passaggi di 6 grado ed oltre.

Poco tempo dopo con i fratelli Carrel aveva conquistato la stessa cresta in prima invernale ed in quell’occasione, in quanto secondo di cordata, salvò Luigi Carrel caduto in un crepaccio. Il 6.9.53 aveva vinto l’ultima parete inviolata del Cervino e che fu battezzata proprio con il nome di Italo Muzio, un Picco alto 4.187 metri, anche perché, ferito alla testa da un lastrone di ghiaccio, riuscì a proseguire fino alla vetta.

Con una scalata di 10 ore e con uno strapiombo di 600 metri durante una tempesta aveva conquistato pure la parete Rocce Nere sul massiccio del Monte Rosa. Italo lo si poteva incontrare seduto davanti al suo negozio di abbigliamento, guarda caso chiamato “Cervino” oppure passeggiare lungo il littorale con i suoi pantaloni di fustagno fissati sotto il ginocchio da una fibbia, e perché no, calzare sovente quegli scarponi da montagna, appena il tempo dava segnali di pioggia o di acqua a catinelle.

Ma ritorniamo a quel giorno del lontano 1955, quando seduti al tavolino del Bar Sport i tre amici furono circondati da alcuni estimatori, ed anch’io ebbi l’opportunità di stringere la mano a due dei protagonisti di quell’impresa. Fu un contatto particolare, con Compagnoni specialmente dato che l’alpinista aveva subito il congelamento delle mani con successivo amputazione di due dita.

Tutto ciò avvenne perché giunto sulla vetta, ed issata la bandiera italiana, si sfilò i guanti per scattare la fotografia che provasse l’avvenuto eccezionale risultato. Ricordo il suo viso bruciato dal sole, quei piccoli tagli intorno alle labbra, quelle sue palpebre pesanti che riducevano lo spazio a due occhi penetranti, non privi però di una certa luce.

Ascoltai i loro racconti in silenzio, ero troppo piccola per comprendere quale immensa popolarità li circondasse, ma so per certo che da quel giorno anch’io cominciai ad amare la montagna. E d’estate grazie anche alla mia particolare facilità nel camminare, non mi sono mai fatta mancare gite ed arrampicate nei più bei rifugi delle Dolomiti. Immagini scolpite nella mia memoria sono il Campanile basso e quello Alto. Il rifugio Selvata e la spianata della Paganella.

Anni dopo conobbi Cesare Maestri a Madonna di Campiglio, e mi ritenni perciò fortunata per aver completato quel cerchio: Italo Muzio che ricevette al Breuil una medaglia ed una pergamena con la dicitura:” In amichevole ricordo della appassionata e significativa attività alpinistica compiuta con le sue guide e portatori.” Achille Compagnoni comandante della miracolosa spedizione sul K 2. Ugo Angelino, che senza l’apporto ed il suo lavoro tale impresa non avrebbe potuto essere effettuata. E Cesare Maestri, l’ultimo scalatore degli anni 70, che insegnò a molti come si deve andare in montagna, ovvero andarle incontro rispettandola, gioire per il contatto con quelle gelide e dure rocce, e vedere nelle immacolate distese di neve uno dei regali più belli che la natura è in grado di donarci.

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