Scienze dell’Architettura. Inutilità del numero chiuso

Ha ancora un senso mantenere il numero chiuso a Scienze dell’Architettura e, soprattutto il numero delle candidature è così sostenuto da prevedere un accesso a numero programmato e soglia minima riguardo il punteggio ottenuto?

Ne abbiamo parlato con Marco Campagna di Udu, Unione degli Universitari in occasione di una significativa sentenza del Tar del Lazio con ricaduta nazionale.

Il T.A.R. del Lazio, Sez. III, con ordinanza 11 febbraio 2019, n. 1031 ha accolto il ricorso di un mini collettivo di studenti per conto dell’UDU (Unione degli Universitari) in merito alla soglia minima di accesso pari a 20 punti per accedere al Corso di Laurea Scienze dell’Architettura. I candidati in questione, pur rientrando in graduatoria, si sono visti negare l’accesso in quanto non avevano raggiungo la soglia minima.

Il TAR oltre ad accogliere il ricorso, ha disposto lo scorrimento della graduatoria a totale copertura dei posti rimasti disponibili.

Il ricorso è stato patrocinato dagli avvocati  Michele Bonetti e Delia Santi, dediti da anni ai ricorsi a favore di studenti e studentesse, “incastrati” nel labirintico accesso del numero chiuso.

“Sono ormai, almeno 3 anni che per il corso di studi in Architettura le domande di accesso sono pari al numero dei posti messi a disposizione dai singoli corsi di laurea –  ci evidenzia Marco – tuttavia la soglia minima dei 20 punti da superare per l’accesso al corso, impedisce l’iscrizione ai giovani che si trovano in posizione utile in graduatoria.

Tale sentenza decreta che l’università è in grado di accogliere gli studenti, garantendo il buon andamento della didattica e di ogni azione organizzativa, amministrativa, laboratoriale. Il numero dei richiedenti attualmente è pari al numero dei posti disponibili.

Il ricorso, dunque, rappresenta uno strumento per scardinare il concetto della soglia minima, dimostrando l’inutilità del test. “Consideriamo –  continua Marco – che la disposizione di un test di accesso comporta sforzi economici sia da parte dell’università (spesa per il bando, per l’ente esterno che se ne occupa) che per gli studenti (tassa di iscrizione ed eventuale spesa di corsi e di libri per prepararsi alla prova)”.

Ora spetta al Miur di indicare ai corsi di Laurea di Scienze dell’Architettura ad accogliere gli studenti che sono rientrati in graduatoria, ma non hanno raggiunto la soglia minima di 20 punti.

Il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità di tale soglia nella misura in cui impedisce l’attuazione del diritto allo studio ex art. 34 Cost., nonché la piena allocazione delle risorse secondo la potenziale ricettività delle strutture universitarie, ritenendo “pertanto che l’efficacia della predetta norma debba essere sospesa, al fine di consentire lo scorrimento della graduatoria fino a totale copertura dei posti disponibili in questione, con conseguente accoglimento dell’istanza cautelare dell’attuale ricorrente, essendo confermato dall’Amministrazione il superamento – da parte della stessa – della prova di resistenza”.

“Si tratta di una vicenda più volte sottoposta alla Giustizia Amministrativa – dichiara avvocato Michele Bonetti – che denota uno spreco di denaro pubblico destinato all’università e che invece viene utilizzato per azionare una illegittima macchina concorsuale; senza considerare le spese che le famiglie devono sopportare per la preparazione dei propri figli, ricorrendo spesso al mercato privato. Il tutto collocato in un panorama dove le domande presentate e che storicamente si riducono prima del momento dell’immatricolazione, lasciavano intendere che i posti non sarebbero stati integralmente coperti”.

Concludono Gulluni e Bonetti: “Insieme stiamo valutando di intraprendere un’azione volta ad ottenere la restituzione delle somme versate dagli studenti per sostenere un ingiusto test e di trasmettere gli atti alla competente Procura della Repubblica per lo svolgimento delle opportune indagini, nonché alla Corte dei Conti”.

Il numero chiuso: un paradosso del diritto allo studio

La costituzione del numero chiuso, giustificato dalla necessità di consentire un adeguato svolgimento di un corso di laurea, a livello organizzativo, laboratoriale, di strutture, di logistica rappresenta comunque una mortificazione del diritto allo studio. Chiediamo dunque a Marco, quale siano (se ci sono) le iniziative in corso per ‘attenuare’ uno sbarramento così pesante alla possibilità di formarsi in determinati percorsi formativo – professionale come: Medicina, Professioni Sanitarie, Scienze della Formazione Primaria (quest’ultima presenta prove oggettivamente più accessibili).

Apprendiamo così che al momento l’Udu sta proponendo un modello transitorio che possa prevedere un aumento graduale degli accessi, in modo da permettere agli atenei di adeguarsi al cambiamento, per poi avvicinarsi a un modello simile a quello francese (non quello francese tout court).

Come funziona? Un anno comune di libero accesso per tutti, per euguagliare una formazione di base, spesso ‘naturalmente’ non paritaria per provenienza socio-economiche e culturali diverse; poi al secondo anno, affrontare un test che preveda una soglia minima, senza la programmazione dei posti.

La direzione è quella di garantire l’accesso libero al fine di interrompere i sogni interrotti di carriere professionali irrealizzate.

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