L’economia circolare dello sbaracco

A quanto pare siamo appena usciti illesi dall’ennesima tradizione presa in prestito dall’America. Il Black friday, ossia il venerdi nero. Così il giorno dopo il ringraziamento (il quarto giovedi di novembre) anche in Italia si  vedono negozianti prodighi a buone azioni: offrire allettanti sconti al fine di incrementare le spese che presto faranno parte degli interminabili acquisti di Natale.

L’ennesimo sogno, quello americano, che trasla usi e costumi in questo vecchio stanco continente; povera Europa che, schiacciata dalle critiche intestine, si lascia attrarre e distrarre dall’irresistibile canto delle sirene.

A rigor di tesi e previsioni sembra che addirittura analisti finanziarie attribuiscano a tale fenomeno l’ambito ruolo di parametro economico, in quanto nel Black Friday si rispecchia la tendenza di spesa dei consumatori che apre a raffinati ragionamenti di statistica. Calcoli e ricalcoli.

Eppure, a ben guardare, in Italia, paese di artisti e di mercanti, accanto allo shopping d’importazione è ancora forte la presenza di forme di scambio ben secolarizzate. Esemplari gli svuotacantine o gli sbaracchi.

Lo svuotacantine ad esempio è un modo di  allestire mercati fai da te; si partecipa al bando del comune che lo propone e nel giorno stabilito e si tira su una bella bancarella dove si possono esporre e vendere oggetti, vestiti, libri, dischi, scarpe che fino a poco tempo prima sarebbero stati destinati all’apposito cassonetto (per i più ligi) o, come sovente accade, sarebbero stati riposti in cantina. Insomma materiali vecchi da riservare nel dimenticatoio, seppur incrostati dai ricordi.
Così per lunghe giornate una gremita folla di cittadini scende in piazza per vendere, comprare, scambiare, riciclare. Si tratta di una risposta valida allo spreco che offre un’apologia del libero scambio. Forse l’unica!

Ben vengano, dunque, questi mercatini delle pulci dove l’usato perde la sua temporalità e da participio passato si trasforma di fatto in aggettivo: oggetto ri-usabile, ovvero ancora funzionante e funzionale a qualcosa, anche semplicemente a far parte di una collezione. E’ come se questi mercatini fossero una risposta concreta agli sprechi, un male ineliminabile del capitalismo.

D’altronde, tali iniziative oltre a finalità escatologiche, hanno l’indiscusso pregio di animare borghi e quartieri delle nostre città, nonché di ampliare il ventaglio degli acquirenti secondo una sorta di democrazia della compra vendita. Ebbene, chiunque può improvvisarsi mercante, ma è anche vero che tutti possono avvicendarsi nell’acquisto, anche i meno abbienti. Un’opportunità magari per trovare il giusto regalo per i propri cari che altrimenti non avrebbero la possibilità di “scartare la carta”, come cita la famosa canzoncina.

Insomma, inutile negarlo, i mercatini delle pulci conservano ancora l’antico fascino, mistero profondo che ci riporta sulle note di Baglioni che si chiedeva “Porta Portese cosa avrai di più…???” il nostro Claudione nazionale!

 

Fotografia: Mercatino delle Pulci di Arezzo

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