Oggi sono 35 anni (e un giorno) che l’Italia sopravvive senza Berlinguer

Compagni, lavorate tutti casa per casa, strada per strada, azienda per azienda“. Questo stava dicendo Enrico Berlinguer durante quello che sarebbe stato il suo ultimo comizio, a Padova, il 7 giugno del 1984. Dopo quattro giorni, 35 anni e un giorno fa, l’11 giugno 1984 il Segretario del PCI sarebbe morto per le conseguenze celebrali di un ictus devastante. Sembrava un malore (un po’ di stress) roba tamponabile con un fazzoletto alla bocca come Berlinguer tentò di fare, dal palco, per portare a termine il suo comizio anche se i convenuti, intenti ad ascoltarlo, lo acclamavano per farlo desistere. Invece, era la fine di una vita che era una storia, che era la Storia, che era un’epoca.

Il momento del Malore di Enrico Berlinguer durante il discorso a Padova, in piazza della Frutta, il 7 giugno 1984

Oggi: sono 35 anni e un giorno che l’Italia sopravvive senza Berlinguer. Una vita. Generazioni e generazioni di scelte, idee, sommovimenti, discorsi, elogi, problemi, proclami, programmi. Ed oggi, 35 anni dopo la morte di quello che in molti ancora chiamano semplicemente “Enrico” (come fa Venditti nella sua canzone/tributo/ricordo), in molti altri si trovano a dover fare i conti con quel ricordo. “Portò la sinistra italiana dalla parte giusta della Storia” ha sentenziato, testardamente egocentrico, Matteo Renzi. Che infatti, nel videomessaggio realizzato per l’occasione e rimbalzato da Rep TV, ha anche detto: “Ma per essere seri sul lascito di Berlinguer si deve dire che è capace di costruire il futuro chi innova, non soltanto chi ricorda”. “Berlinguer è il contrario di Renzi” ha detto invece Eugenio Scalfari, sempre sulla Tv streaming di Repubblica, in un videomessaggio segnato dai ricordi di un rapporto vero, profondo, sincero, compiuto tra il Segretario del Partito Comunista Italiano e il cronista al quale affidò la sua intervista forse più importante, quella sulla Questione morale.

Berlinguer con Eugenio Scalfari, in redazione, a Repubblica

E, 5 anni prima della svolta della Bolognina e della caduta del muro di Berlino (evento di cui ricorre il trentennale proprio quest’anno, come ci stiamo preparando a raccontarvi al meglio proprio qui, su abbanews.eu), dieci anni prima della “discesa in campo” di Berlusconi, 12 anni prima del primo governo di Centrosinistra, il governo Prodi, 17 anni prima delle Torri gemelle, 23 anni prima della fondazione del PD e 32 anni prima del Referendum costituzionale di Renzi, Berlinguer “non ha mai usato – come ha ricordato Carlo Verdelli, il direttore di Repubblica – in un discorso pubblico la parola io, ha sempre usato il noi come se fosse il rappresentante di un popolo più grande, nel suo caso il popolo della sinistra”. Ha sicuramente fatto molto altro, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda.

Ma non intrufoliamoci nel delineare chi sia ragionevolmente capace di potersene dire erede (cosa che riesce difficile anche all’erede di sangue, la figlia Bianca, visto che ha detto, consegnandoci un gesto interiore di intima partecipazione: “Di ogni cosa mi chiedo che cosa ne direbbe papà…”): Berlinguer è stato così potentemente presente da lasciar lasciti complessi non solo da attuare, ma anche da comprendere intimamente. “Continua ad ispirarci” ha scritto Pietro Grasso, ex presidente del Senato ed ex-candidato premier di Liberi e Uguali. “Mai nessuno come te! #Berlinguer” ha twittato Laura Boldrini, altra persona-punto di riferimento di quella parte di Paese che o c’era, o vorrebbe esserci stata sia in piazza a Padova ad ascoltare l’ultimo discorso di Enrico, sia in piazza a Roma, ai suoi funerali, il 13 giugno, l’evento più grande, partecipato, carismatico, profondo, discorsivo ed emozionante che la storia politica di questo Paese ricordi.

Per lui, per la persona presa in braccio da Benigni, pianta da Venditti e ricordata da Gaber, stimata dagli avversari e amata dai compagni, ha preso la parola anche il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, che ha detto, così come riportato da www.Rainews.it, “Enrico Berlinguer è stato un leader politico stimato e popolare, protagonista di una stagione che ha accompagnato lo sviluppo del Paese nei diritti, nella partecipazione democratica. […] Berlinguer seppe definire ed esprimere l’originalità politica e culturale sviluppatasi, con la vita della Repubblica, nel comunismo italiano, assumendo la fedeltà alla Costituzione e la sua difesa come caratteristica del partito. Una consapevole scelta che contribuì alla unità del popolo italiano […]”. E poi, il Presidente Mattarella ci consegna una frase che diventa un racconto di un passato che sembra così lontano da farcene simulacri involontari: “Il suo confronto con Aldo Moro e gli altri leader politici ha caratterizzato passaggi importanti della storia italiana, collocandosi nell’ambito dell’unità delle forze democratiche e popolari e della loro capacità di incontrarsi o collaborare nelle emergenze, pur nelle distinzioni tra maggioranza e opposizione, che hanno salvaguardato, nei decenni, la vita democratica e il progresso del Paese”.

Che Mattarella lo abbia fatto apposta o no, poco importa, ma a noi questo racconto del passato ha ispirato una domanda sul presente: “Chi salvaguarda oggi la vita democratica e il progresso del Paese“? Ed anche: chi può dire serenamente di star andando “Casa per casa, strada per strada, azienda per azienda”? Inoltre: chi ancora può nominare – senza remore – la Questione morale? Soprattutto: perché “mai nessuno come” Berlinguer? E perché, come Bianca, tanti ancora oggi, dopo 35 anni da quella morte pubblica, pur non essendone figli naturali si chiedono “Cosa ne direbbe Enrico”, come termine di paragone?

Noi di mestiere facciamo domande. Ma a queste domande qualcuno ci dovrebbe dare una risposta.

 

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